Quando si parla di salute mentale l’esperienza di ricevere una diagnosi può essere spaventosa o liberatoria. Nonostante se ne parli quotidianamente sui social però, nella vita offline è ancora estremamente difficile riuscire a dare un nome al proprio disagio, è proprio questa difficoltà ad aprire le porte a un’alternativa decisamente più accessibile ma anche molto meno affidabile: l’autodiagnosi.
Cosa si intende per autodiagnosi in salute mentale?
Il processo attraverso il quale una persona tenta di identificare disturbi psicologici o emotivi basandosi su informazioni raccolte autonomamente, spesso attraverso ricerche online, è chiamato: autodiagnosi.
Quando si provano sofferenze fisiche ed emotive che non passano e non trovano spiegazione altrove, la domanda ‘è normale?’ inizia ad insinuarsi.
Ecco allora che test online, reel o liste di sintomi, articoli sui blog, video su YouTube, talvolta anche l’acquisto di libri di divulgazione o manuali, diventano strumenti per trovare la tanto agognata risposta.
Sì, perché il fatto che esistono le diagnosi psichiatriche è ormai stato sdoganato. Più o meno tutte le persone che hanno uno smartphone e un profilo social sono state esposte, almeno una volta, a un contenuto su questo argomento; e la curiosità per alcuni si trasforma da veicolo di conoscenza a mezzo di esplorazione.
L'era dei social media inoltre ha amplificato questo fenomeno, fornendo una piattaforma per la condivisione di esperienze personali, sintomi e informazioni mediche, dando uno spazio alla creazione di quelle che vengono chiamate community di pazienti.
Chi e perché cerca l’autodiagnosi?
L’autodiagnosi è un tentativo di contestualizzazione. Come accennato chi prova una sofferenza psicologica cerca di comprenderne le cause tramite internet e, possibilmente, trovare una soluzione, tenendo conto di 3 fattori fondamentali:
- rapidità: posso aprire una, dieci, cento pagine online e nell’arco di una serata trovare la risposta che si avvicina di più al mio caso,
- risparmio: non ci sono fondi da destinare al mio processo diagnostico,
- comodità: non ho bisogno neppure di uscire di casa, posso trovare il professionista o il creator che più mi piace, con il quale o la quale mi sento maggiormente in sintonia e scorrere tutto ciò che ha condiviso, sia che io sia sull’autobus che in bagno o sul letto tentando di prendere sonno.
La ricerca può essere rivolta a sé e alla propria storia, in questo caso si esamineranno i propri sintomi e comportamenti per capire se si soffre o meno di una certa condizione, oppure può essere rivolta a terze persone, dunque, si cercheranno eventuali disturbi nei comportamenti o sintomi che possano svelare una diagnosi per loro.
In un numero considerevole dei casi, è ragionevole credere che la necessità di fare-da-sé non sia un vezzo ma una necessità. Sono molti gli studi che dimostrano che il ritardo medio nella diagnosi e nell’accesso al trattamento – quando parliamo di salute mentale – superi i 10 anni.
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In questi 10 anni non è detto che il paziente abbia rimandato, solitamente ha tentato di contattare dei professionisti che però non sono riusciti a risolvere il problema per il quale erano stati contattati.
È all’interno di questo buco nero fatto di attese e aspettative disattese che si inizia a perdere fiducia nel servizio sanitario e si apre la porta alternativa dell’autodiagnosi social.
Come i social media hanno influenzato l’autodiagnosi
Nel 2020, anno dell’indimenticabile pandemia di Covid-19, c’è stato un boom nell’utilizzo delle piattaforme social che, dopo l’iniziale smarrimento, sono diventate pressoché l’unico affaccio sul mondo.
È in questo clima che sono iniziate, per la prima volta, su tanti profili le condivisioni a tema salute mentale: milioni di persone si trovavano a vivere in reclusione, tutte allo stesso momento, con un’ansia da malattia che si faceva sempre più forte, depressione e angoscia per il futuro che non trovava rassicurazione, relazioni che si facevano sempre più disfunzionali, e impossibilità (ancora una volta) di accedere alle cure se non da remoto.
I professionisti che non avevano voluto cedere al mezzo digitale e le strutture che non erano state abbastanza lungimiranti da attivare i loro servizi online sono letteralmente corse ai ripari e mentre loro creavano siti e offerte, a tutti gli altri non rimaneva che sfruttare lo sfogatoio che i social offrivano, attendendo tempi migliori.
Quello che prima del 2020 era un ambito relativamente interessante, una nicchia poco attraente se non per alcune realtà specifiche, è diventata tutt’a un tratto una miniera d’oro e slogan come ‘it’s ok not to be ok’ (è ok non essere ok) hanno iniziato a riempire le nostre bacheche. E tutto questo grazie al potere dei social media.
Era impossibile ignorare l’argomento, anche perché c’era stato uno straripamento dal social alla televisione e ai giornali che era arrivato sui tavoli della politica, fino alla famosa proposta del Bonus Psicologo.
I benefici dell’autodiagnosi in salute mentale
È piuttosto facile giudicare negativamente chi cerca una diagnosi online perché è evidente che la diagnosi non compete chi non ha portato a termine un percorso di studi abilitante come quello di medicina e psicologia.
Tuttavia, considerati il ritardo diagnostico medio e la difficoltà nell’accesso a cure specifiche non dovrebbe sorprendere che si finisca per rivolgersi altrove.
Alcuni dei benefici che possiamo individuare nell’approcciare l’autodiagnosi sono questi:
- Aumento della consapevolezza di sé: indagare tra le varie condizioni per cercare risposte denota quanto meno curiosità e, in una certa misura, anche l’essere pronti a mettersi in gioco per auto-esplorarsi. Favorisce l’approfondimento dei propri sintomi e conseguentemente un aumento di autoconsapevolezza.
- Riduzione dello stigma: parlare apertamente dei propri sintomi e cercare informazioni può contribuire a ridurre lo stigma associato ai disturbi mentali, incoraggiando una maggiore accettazione sociale.
- Primo passo verso la ricerca di aiuto professionale: non è detto che l’autodiagnosi rimanga fine a se stessa. Potrebbe essere il primo passo per molte persone nel riconoscere la necessità di un supporto professionale, spingendole a cercare una diagnosi ufficiale e un trattamento adeguati.
- Empowerment personale: essere in grado di individuare e dare un nome ai propri sintomi può dare alle persone un maggior senso di competenza sulla propria salute mentale. Questo può aiutare a sentirsi parte attiva del percorso in caso poi riescano a intraprenderne uno.
- Accesso a risorse e comunità di supporto: attraverso l'autodiagnosi, le persone possono scoprire risorse online, gruppi di supporto e comunità che offrono consigli, esperienze condivise e sostegno emotivo. Non sentire più isolamento nel disagio da coraggio e sostiene la motivazione a cercare di uscire dalla propria condizione di sofferenza.
- Stimolo alla ricerca di informazioni: l'autodiagnosi incoraggia le persone a informarsi meglio sulla salute mentale, portando a una maggiore alfabetizzazione dei disturbi psicologici.
- Preparazione per le visite mediche: questo è un aspetto sottovalutato ma chi deve approcciare una visita psichiatrica o un incontro con lo psicoterapeuta, soprattutto se è la prima volta, tende a provare molta incertezza. Avere un'idea preliminare dei propri sintomi può aiutare le persone a prepararsi meglio per le visite mediche, rendendo le consultazioni con i professionisti della salute mentale più efficaci.
I rischi dell’autodiagnosi in salute mentale
Ovviamente l’autodiagnosi non viene senza rischi. Se da un lato ritrovarsi all’interno di un quadro diagnostico può essere rassicurante perché appunto inquadra e rende comprensibili alcuni aspetti, comportamenti o esperienze, dall’altro non è detto che quel contesto che sembra così affine, sia davvero corrispondente o esaustivo.
Apriamo quindi gli occhi anche sui rischi dell'autodiagnosi in salute mentale:
- Diagnosi errate: l'autodiagnosi facilmente porta a identificare in modo sbagliato la propria condizione. Di solito, infatti, quando si fa autodiagnosi online, si vede un contenuto su una certa condizione e ci si identifica, mentre il processo diagnostico andrebbe fatto all’inverso. Questo causa fraintendimenti sia sulla natura che sulla gravità del problema.
- Confusione tra condizioni simili: questo aspetto è strettamente legato al rischio di diagnosi errata. Molti disturbi mentali presentano sintomi sovrapposti o potrebbero anche presentarsi in co-occorrenza cioè contemporaneamente. Senza una formazione adeguata, distinguere tra condizioni può essere molto difficile.
- Sottovalutazione o sovrastima dei sintomi: l'autodiagnosi può portare a sottovalutare sintomi gravi o a sovrastimare quelli minori, soprattutto perché dipende molto da quale content creator (professionista o meno) ha introdotto la persona per la prima volta a quella determinata condizione. Il rischio è che questo interferisca con una gestione corretta della salute mentale.
- Aumento dell’ansia: leggere informazioni mediche senza una guida professionale amplifica l’ansia e anzi può mandare in panico, peggiorando la situazione emotiva.
- Influenzabilità da informazioni non verificate: è molto difficile dire se le informazioni trovate online sono attendibili o meno. Possono essere inaccurate, non supportate da evidenze scientifiche ma frutto solo dell’esperienza o delle opinioni di chi le ha scritte, e c’è il serio rischio che portino alla creazione di pregiudizi o a scelte sbagliate e dannose.
- Dipendenza da fonti non professionali: affidarsi a consigli aneddotici e attraverso i social media può creare una dipendenza da opinioni non qualificate piuttosto che cercare il consiglio di esperti. Molte figure si improvvisano consulenti senza avere l’abilitazione per trattare tematiche di questo tipo, bisogna prestare la massima attenzione nello scegliere in chi riporre la propria fiducia.
- Autoterapia non regolamentata: le persone potrebbero tentare di trattare i propri sintomi con rimedi inadeguati o pericolosi per loro, senza la supervisione di un professionista. Non bisogna immaginare necessariamente l’assunzione di farmaci senza prescrizione medica, certe attività possono far emergere vissuti che mettono in pericolo l’equilibrio mentale. Pericolosità può essere anche rimandare il consulto con i professionisti.
- Evitare il consulto professionale: sentendosi sicuri della propria autodiagnosi, si potrebbe evitare di consultare un medico o uno psicologo, perdendo l'opportunità di ricevere una diagnosi accurata e un trattamento appropriato e soprattutto tempestivo.
- Isolamento sociale: affidarsi esclusivamente a risorse online può ridurre il contatto con reti di supporto reale, incrementando il senso di isolamento e solitudine.
- Rischio di auto-stigmatizzazione: tentare di autodiagnosticarsi può portare a giudizi personali negativi, rafforzando lo stigma interno e peggiorando l'autostima. Questo è soprattutto vero se la condizione che ci si autodiagnostica non è socialmente accettata.
Perché consultare un professionista della salute mentale è ancora fondamentale
Il proliferare di app, piattaforme, profili social, video e articoli sta dando l’illusione che la diagnostica sia qualcosa di semplice e a portata di tutti. Un iter diagnostico professionale invece può durare diverse sedute e prevedere, oltre ai colloqui, anche la somministrazione di test e l’uso di scale di autovalutazione.
Una parte decisiva di questo percorso è poi l’analisi, da parte del professionista al quale ci si è rivolti, dei dati raccolti e il loro combaciare anche con l’anamnesi del paziente, ovvero la raccolta delle informazioni che lo riguardano.
Medicina e psicologia non sono scienze esatte, sono anzi estremamente suscettibili alla persona che stanno trattando, che rappresenta un microcosmo a sé e come tale va considerato.
Un professionista adeguatamente formato però non solo ha gli strumenti per adattare le sue competenze al paziente, ma può fare anche collegamenti tra ciò che c’è e ciò che potrebbe esserci, o ciò che manca.
In altre parole, sa tenere una porta aperta sulle implicazioni che una determinata condizione potrebbe avere sul benessere o meno di coloro che si appresta a prendere in carico. Questo significa che in caso di crisi sa cosa fare, verso chi o quale struttura indirizzare, adattare una eventuale terapia farmacologica, accorgersi se stanno avvenendo un miglioramento o un peggioramento della condizione.
Se da un lato si sta normalizzando la richiesta di aiuto e stanno, di conseguenza, aumentando lo proposte di servizi, dall’altro si sta anche diffondendo una visione edulcorata della psicoterapia e le condizioni psicologiche e psichiatriche si stanno dividendo sempre più in ‘buone’ e ‘cattive’, quelle di cui parlare liberamente e quelle di cui invece vergognarsi.
L’autodiagnosi rischia di essere una necessità per chi soffre o ipotizza di soffrire dei disturbi più stigmatizzati, questo si risolve però – o almeno così dovrebbe essere – rivolgendosi ai professionisti della salute mentale, che oltre a poter confermare o meno certe intuizioni, possono offrire uno spazio realmente sicuro e non giudicante.
L’esperienza dell’autodiagnosi: riflessioni e raccomandazioni finali
Molte persone trovano nell’autodiagnosi una prima risposta alle loro domande, un sollievo temporaneo e un punto di partenza per ulteriori ricerche.
Diversi blog testimoniano come alcune persone abbiano utilizzato l’autodiagnosi come stimolo per approfondire la conoscenza di sé e come incoraggiamento a cercare aiuto professionale. La possibilità di riconoscere i propri sintomi e di trovare comunità di supporto online può dare un senso di appartenenza e di comprensione che altrimenti sarebbe difficile ottenere.
Tuttavia, l'autodiagnosi porta con sé significativi rischi. Errori di diagnosi, confusione tra disturbi simili e l'influenza di informazioni non verificate sono pericoli concreti che possono peggiorare la condizione mentale di chi ne fa uso. Anche l'aumento dell'ansia e il rischio di autoterapia non regolamentata sono aspetti critici da considerare.
Già nel 2009 diversi studi notavano che tra chi cerca una risposta ai propri dubbi medici online, se un 50% sperimentava un abbassamento dell’ansia, 1 persona su 5 provava frequentemente un’escalation di preoccupazione, e 2 su 5 un incremento notevole di ansia.
Quindi se è vero che l’autodiagnosi può aiutare qualcuno ad ottenere davvero la diagnosi che cerca, per tanti altri è possibile che si riveli pericolosa allontanando dalla reale risoluzione della condizione che stanno cercando di individuare. L’accesso alle informazioni online, infatti, può dare l’illusione di una competenza che in realtà richiede anni di formazione e pratica professionale.
Ecco perché è fondamentale bilanciare il desiderio di autodiagnosi con la consapevolezza dei suoi limiti.
Utilizzare le informazioni disponibili come punto di partenza può essere utile, ma è cruciale cercare il supporto di professionisti della salute mentale per una diagnosi e un trattamento accurati. Solo un approccio combinato, che integri la propria ricerca con la guida di esperti qualificati, può garantire un percorso di cura efficace e sicuro.
Conclusioni
In conclusione, mentre l’autodiagnosi in salute mentale può rappresentare un primo passo importante verso la comprensione dei propri sintomi e la ricerca di aiuto, è essenziale riconoscere i suoi limiti e rischi.
La combinazione di una responsabile ricerca di informazioni e il consulto professionale può portare a un miglioramento significativo della salute mentale, promuovendo un percorso di guarigione sicuro e informato.
Quando si tratta di salute mentale, il supporto professionale rimane insostituibile per garantire diagnosi precise e trattamenti adeguati.