Buon pomeriggio,
purtroppo è così, e uno studio presentato all'ultimo congresso della
Sexual Medicine Society of North America (Smsna), tenutosi a Miami dall'8 all'11 novembre 2019, lo conferma.
Questo avviene poichè si alterata inevitabilmente la
vascolarizzazione dei corpi cavernosi del pene. Questa alterazione determina un'ipovascolarizzazione e un'ipo-ossigenazione delle arterie del pene che creano una diminuzione dell'elasticità e determinano lo sviluppo di tessuto fibrotico con evidente riduzione della lunghezza e della circonferenza del membro. Anche le innovative tecniche robotiche, il più delle volte, non preservano dal rischio di questa affezione.
Se dopo 6 mesi dalla
prostatectomia radicale il paziente non riprende una normale attività, la
protesi al pene è la soluzione al problema.
Un dispositivo endocavernoso idraulico permette, attraverso due cilindri gonfiabili che vengono posizionati nel pene ed un piccolo meccanismo a forma di bomba posto nello scroto, di arrestare il processo fibrotico di accorciamento del pene e di ripristinare una normale e soddisfacente attività sessuale.
Si tratta di un intervento in regime di
day-surgery con un accesso chirurgico mini-invasivo dall'addome e che dura circa 15 minuti. Questa tecnica permette di fermare il processo cronico di accorciamento dell'asta.
Al momento di avere un rapporto, l'uomo tocca questa piccola pompa inserita tra i due testicoli e, gonfiando i cilindri, manda il pene in
erezione. Il dispositivo è completamente invisibile perché posto all'interno del corpo ed è paragonabile ad un qualsiasi dispositivo protesico da impiantare chirurgicamente.
Possono beneficiare di questo dispositivo non solo i pazienti oncologici, ma tutti quei pazienti affetti da
disfunzione erettile e, in particolare, quelli con
diabete, in cui il processo fibrotico del pene è sovrapponibile agli effetti della chirurgia pelvica.
Un cordiale saluto