In collaborazione con l'Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Intervista al prof. Giovanni Maga, Direttore dell'Istituto di Genetica Molecolare del CNR di Pavia.
In questi ultimi giorni, è partito un nuovo tam-tam e tutti i media stanno parlando della cosiddetta variante Delta del Covid-19: ma di cosa si tratta?
Lo abbiamo chiesto al virologo Giovanni Maga, per fare assieme un punto preciso.
Variante Delta del Sars-Cov-2: di cosa si tratta?
Si tratta di un ceppo di SARS-CoV-2, inizialmente comparso in India nel dicembre 2020 (nome scientifico B.1.617.2), che presenta dei cambiamenti nella struttura della proteina Spike. Questa proteina è necessaria al virus per infettare le cellule e i cambiamenti presenti nella variante Delta aumentano questa capacità.
Il risultato è che questo ceppo virale è più contagioso. Si stima che sia circa il 60% più infettivo della variante Alfa (la cosiddetta variante del Kent o dell’Inghilterra), che oggi rappresenta il ceppo dominante in Italia. Tradotto in termini semplici, se in un certo ambiente mi attendo 10 contagi con la variante Alfa, a parità di condizioni ne avrò 16 con la variante Delta.
Questa variante è arrivata in Inghilterra a febbraio e, ad oggi, rappresenta il ceppo che causa il maggior numero di infezioni in quel Paese. In Italia, si stima che l’incidenza sia intorno all’1%, mentre negli USA si attesta intorno al 10%. Come tutti i virus più contagiosi, le persone infette possono mostrare sintomi più intensi. Nel caso della variante Delta, i sintomi più comuni sono mal di testa, naso che cola e mal di gola.
Uno studio sulla popolazione Scozzese ha evidenziato che dal 1° aprile al 6 giugno, su 7723 casi confermati di infezione da variante Delta, solo 134 (pari all’1,7% dei contagiati) ha richiesto ricovero in ospedale. Uno studio simile in Inghilterra ha evidenziato nello stesso periodo 166 ricoveri a fronte di 14019 casi (1,1%).
Lo studio Scozzese rilevava in generale un rischio di ospedalizzazione maggiore per la variante Delta rispetto alla Alfa. Sempre in Inghilterra, non si è però riscontrato un aumento della mortalità, a fronte dell’aumento di casi di infezione.
La variante potrebbe indebolire l'efficacia dei vaccini?
La proteina Spike è l’elemento che i vaccini utilizzano per stimolare la risposta immunitaria. I cambiamenti presenti nella variante Delta potrebbero potenzialmente diminuire la capacità degli anticorpi di legarsi al virus, neutralizzandolo.
Tuttavia, prima studi di laboratorio e successivamente studi sulla popolazione hanno indicato che i vaccini sono ancora efficaci. In particolare, dopo due dosi di AstraZeneca o di Pfizer, la protezione nei confronti del rischio di ricovero (quindi di malattia severa) è superiore al 90%.
Questa protezione rimane superiore al 90% anche dopo una dose di Pfizer, mentre scende al 71% dopo una singola dose di AstraZeneca. L’efficacia dei vaccini è dimostrata anche dal fatto che oltre il 70% dei contagi in Inghilterra era a carico di persone non vaccinate.
Cosa dobbiamo aspettarci e cosa fare?
La variante Delta è più contagiosa, quindi aumenta il rischio di nuovi focolai.
Però, la contagiosità si manifesta quando il virus entra in contatto con le nostre vie respiratorie. Usare la mascherina e rispettare il distanziamento proteggono efficacemente anche da questo virus. Inoltre, il rischio maggiore è una sua diffusione tra persone non vaccinate o vaccinate con una sola dose.
Per questo, completare il ciclo vaccinale per un numero sempre maggiore di persone rappresenta la strategia migliore per contenere la diffusione di questo ceppo, che per fortuna in Italia è ancora molto poco presente.