Se la sensazione di fame si potesse eliminare mediante un interruttore, il sogno di molti diventerebbe realtà e la vita di chi combatte quotidianamente con i problemi di peso ne trarrebbe molti benefici. Non sono così lontani da questo immaginario gli scienziati dell’Università di Harvard, che hanno scoperto una componente chiave della complessa rete cerebrale che controlla l’appetito. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature.
Un passo indietro
Lo studio si basa su un precedente lavoro che ha rivelato l’esistenza di un gruppo di cellule cerebrali nell’ipotalamo, noto come neuroni AgRP. Queste cellule agiscono da sensori per avvisarci quando siamo a corto di calorie e, successivamente, azionano i comportamenti che ci portano ad alimentarci. Lo fanno attraverso il rilascio di molecole inibitrici che smorzano l’attività delle cellule alla base di questo circuito neurale che favoriscono sensazioni di sazietà. Di conseguenza, ci sentiamo affamati e mangiamo.
Lo studio attuale
I ricercatori adesso si sono posti la seguente domanda: quali neuroni vanno a colpire i neuroni AgRP? Quali sono le molecole, le cellule e i meccanismi coinvolti? Per rispondere a questi interrogativi, gli scienziati hanno studiato in più fasi il comportamento di topi geneticamente modificati, in modo che l’attività di questi neuroni particolari (MC4R) potesse essere controllata artificialmente mediante la somministrazione di un farmaco.
Un farmaco interruttore
Quando i ricercatori hanno “spento” le cellule inibitrici della fame, hanno notato che i topi che avevano già consumato molte calorie durante la giornata continuavano a cibarsi come se fossero affamati e, al contrario, i topi che erano stati tenuti a digiuno, una volta “accese” artificialmente le cellule, non si nutrivano e non cercavano cibo, nonostante la carenza di cibo. Avendo a questo punto trovato la popolazione di cellule responsabile del bisogno di cibo, gli scienziati si sono spinti oltre, andando a cercare il circuito neurale che sta alla base del precedente.
Per farlo, hanno iniettato un colorante che ha rivelato con quali cellule comunicavano i neuroni precedentemente identificati e le hanno trovate in una densa popolazione situata nella parte posteriore del cervello, nota come nucleo parabrachiale laterale (LPBN).
Infine, hanno inserito filamenti di fibra ottica nei topi in modo che questo percorso, dai recettori MC4R al LPBN, potesse essere attivato dalla luce blu, attraverso un impianto cerebrale. Ancora una volta, l’attivazione del circuito ha reso i topi meno sensibili alla fame.
Appagamento o necessità fisica?
Restava un punto da chiarire: quando abbiamo fame e mangiamo, soddisfiamo una necessità solo fisica o anche un piacere che deriva dalla gratificazione che ci offre il cibo?
Per saperne di più, i ricercatori hanno condotto un esperimento per indagare se il circuito precedentemente identificato sarebbe stato in grado di evocare sensazioni di ricompensa, una volta attivato artificialmente e in assenza di cibo. I topi sono stati collocati in una scatola con due camere, una delle quali forniva la luce blu che “accendeva” il circuito. E’ emerso che i topi a digiuno con impianto cerebrale hanno passato molto tempo nella camera che irradiava luce blu (cioè che appagava il loro bisogno), mentre i topi normali passavano da una camera all’altra in maniera del tutto indifferente.
Una possibilità concreta
Presi insieme, questi risultati suggeriscono che potrebbe essere possibile agire artificialmente a livello neuronale per attivare o inibire i ricettori che stimolano la fame e la gratificazione.
Se cosi fosse, si offrirebbe una risposta importante alla vasta gamma di disturbi alimentari e a importanti patologie come l’obesità.