Da tanto se ne parla, ma ora arriva la conferma. Il primo ad occuparsene è stato lo psicologo Herbert Freudenberger nel 1974.
Oggi, lo stress da lavoro, conosciuto anche come burn out, è stato ufficialmente riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che, come ogni anno, ha aggiornato la sua grande lista di disturbi medici.
L’agenzia speciale dell’Onu per la salute ha anche fornito direttive ai medici per diagnosticarla con successo. E, se qualcuno se lo stesse chiedendo, no, non si tratta di una vera e propria malattia, bensì di un “problema associato alla professione”.
Lo stress da lavoro: come riconoscerlo
I sintomi dello stress da lavoro? Spossatezza, cinismo, isolamento, sentimenti negativi ed efficacia professionale ridotta. Il risultato di tutti questi campanelli di allarme è una “sindrome che porta a uno stato di stress cronico impossibile da curare con successo”.
Tutti sono a rischio ma, nella grande maggioranza dei casi, colpisce coloro che sono impiegati nelle professioni di aiuto, nelle emergenze, nel sociale. In particolare, si citano medici, infermieri, poliziotti, vigili del fuoco, assistenti sociali e caregiver.
Ciò detto, non si nega che può colpire anche altre categorie di lavoratori: gli iperattivi, iperconnessi, schiacciati dalla frenesia di impegni tra famiglia e lavoro.
Ancora una volta, un’attenzione speciale deve essere dedicata alle donne: sarebbero, infatti, maggiormente esposte rispetto agli uomini al pericolo di esaurimento psico-fisico.
La sindrome del burn out si riferisce – secondo la classificazione – specificamente ai fenomeni nel contesto occupazionale e non dovrebbe essere applicato per descrivere esperienze in altri ambiti della vita. “Questa è la prima volta che il burn out è stato incluso nella classifica” – ha voluto evidenziare il portavoce dell’OMS, Tarik Jasarevic.
Non solo stress da lavoro
Il nuovo testo, che sarà in vigore dal primo gennaio 2022, contiene definizioni e codici per oltre 55 mila malattie e condizioni patologiche, e viene usato per uniformare diagnosi e classificazioni in tutto il mondo.
Rispetto alle liste precedentemente stilate, contiene molte altre aggiunte, inclusa la classificazione del “comportamento sessuale compulsivo” come disturbo mentale, sebbene si fermi prima di aggravare la condizione insieme a comportamenti di dipendenza.
Soprattutto, per la prima volta, si inserisce i videogiochi fra i “disturbi da dipendenza”, insieme al gioco d’azzardo e alle droghe come la cocaina. In particolare, il “gaming disorder” è stato definito come “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline, manifestati da: un mancato controllo sul gioco; una sempre maggiore priorità data al gioco, al punto che questo diventa più importante delle attività quotidiane e sugli interessi della vita; una continua escalation del gaming nonostante conseguenze negative personali, familiari, sociali, educazionali, occupazionali o in altre aree importanti“.
Sarà utile questo aggiornamento per arrivare a diagnosi precoci?