Perché la mortalità in Italia per Coronavirus è così alta?

Dorotea Roggio | Biologa e Ricercatrice

Ultimo aggiornamento – 19 Marzo, 2020

Mortalità Coronavirus: perché in Italia è così alta

Lo stato di pandemia per l’infezione da Coronavirus (COVID-19) è stato dichiarato ormai da più giorni. Le persone infette sono oltre 100.000, in 100 nazioni differenti. 

Mentre in Cina, almeno per il momento, è stata osservata una riduzione dei casi del 90%, in Italia stiamo purtroppo assistendo ad una continua crescita del numero delle persone affette da COVID-19

Come più volte ribadito dalle autorità nazionali e sovranazionali, i sintomi più diffusi sono rappresentati da febbre alta, tosse secca e mialgia. A questi disturbi, può associarsi la difficoltà respiratoria che provoca per il 25% dei pazienti la necessità di cure in terapia intensiva e per il 10% dei pazienti la necessità di utilizzare la ventilazione meccanica.

La mortalità per Coronavirus in Italia, in più, sembra piuttosto alta. Per quale motivo?

Perché le persone stanno morendo di Coronavirus

Secondo l’ultimo rapporto del Ministero della Salute rilasciato il 18 marzo, sono stati rilevati 35.713 i casi totali di Coronavirus: le persone attualmente positive sono 28.710, 2.978 deceduti e 4.025 guariti.

Da questi numeri, sembrerebbe che non ci sia una sostanziale differenza evidente tra il numero di persone guarite e il numero di persone decedute. Questo dato, però, non deve allarmarci. Anzi, dovrebbe portarci a chiedere: perché un così alto numero di persone decedute? Erano affette primariamente da altre patologie e, in seguito, anche da Coronavirus? 

Per provare a rispondere a questa domanda, è possibile consultare il report sulle caratteristiche delle persone decedute positive a Coronavirus, rilasciato dall’Istituto Superiore della Sanità (ISS) il 13 marzo 2020. Su un campione di 268 deceduti:

  • Il 47% dei pazienti presentava 3 o più patologie
  • Il 25,7 % dei pazienti presentava 2 patologie
  • Il 26,1% dei pazienti presentava 1 patologia
  • Solo l’1,1% dei pazienti deceduti non aveva patologie pregresse 

Si tratta di una riflessione che non è affatto semplice da affrontare. Infatti, se da un lato questi dati sostengono la suddivisione dei pazienti deceduti di cui abbiamo parlato, dall’altro, come fa notare Roberto Burioni, professore dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, bisogna stare attenti a quali patologie vengono messe a confronto. Insomma, un conto è parlare di pazienti affetti da patologie come tumori metastatici o cardiopatie scompensate, un altro è parlare di pazienti affetti da malattie come il diabete. Le patologie croniche cui si fa riferimento non hanno tutte lo stesso peso nel contribuire alla morte di un paziente affetto da COVID-19. Ciò non toglie che, ad oggi, sono ancora pochi i casi di italiani deceduti esclusivamente a causa di COVID-19.

Un altro aspetto legato strettamente alla mortalità è sicuramente il tasso di letalità del Coronavirus, definito come il numero di morti rispetto al numero di malati per una certa malattia entro un periodo di tempo specificato. Secondo l’ultimo report rilasciato da Epicentro, l’organo epidemiologico di ISS, il tasso di letalità per la popolazione italiana raggiunge il valore più alto per gli over 90 (con il 21.6% dei casi) ed è simile per la fascia di età tra gli 80 e gli 89 anni (18.8%). Per le persone tra i 70 e 79 anni, il tasso di letalità diminuisce all’11.8% per scendere al 3,2 % per la fascia di età tra i 60 e i 69 anni, arrivando all’1% tra i 50 e 59 anni. Nelle altre fasce della popolazione (sotto i 50 anni) il tasso di letalità di COVID-19 è al di sotto dell’1%.

Perché il tasso di mortalità è più alto in Italia rispetto alla Cina? Ci sono alcuni fattori da considerare

In Cina, secondo i dati registrati fino all’11 febbraio 2020 dal Centro cinese di controllo e prevenzione delle malattie (Ccdc), il tasso di letalità per gli over 80 affetti da COVID-19 è stato del 14.8%. 
Cosa rappresenta questa differenza rispetto al tasso di letalità italiano, che invece si aggira mediamente intorno al 20%? 


La prima spiegazione si basa sul fatto che l’età media della popolazione italiana è più alta di quella cinese, si parla di 44,3 contro 37,4 anni, come ha fatto notare il presidente dell’ISS, Silvio Brusaferro. Infatti, nei dati epidemiologici riportati da ISS, ricordiamo che per l’Italia esiste sia la categoria degli over 80 sia la categoria degli over 90. E proprio tra gli anziani si concentra il maggior numero di deceduti.

Ma l’età media della popolazione non basta per spiegare questa differenza, bisogna prendere sicuramente in considerazione un altro fatto: dal 26 febbraio, in seguito alla circolare del Ministero della Salute, è stato stabilito che fossero sottoposti al tampone solo i soggetti sintomatici, aventi quindi la febbre e problemi respiratori, mentre prima venivano testati anche i soggetti asintomatici. Come ha spiegato l’epidemiologo dell’Università di Pisa, Pier Luigi Lopalco, questo cambiamento incide matematicamente nel calcolo dell’indice di letalità, in quanto il valore finale deriverà dal confronto tra il numero dei deceduti e il numero dei sintomatici e quindi non più dal confronto tra il numero dei deceduti e il numero dei sintomatici e degli asintomatici. 
In altre parole, il tasso di letalità potrebbe essere sovrastimato, proprio perché non vengono tenute in considerazione entrambe le casistiche dell’infezione COVID-19, ovvero quella dei sintomatici e degli asintomatici.

Per quanto riguarda invece le altre fasce di età della popolazione, i tassi di letalità per l’Italia e per la Cina sono simili: 70-79 anni (8% in Cina, 11.8% in Italia), 60-69 anni (3.6% in Cina, 3.2% in Italia), 50-59 anni (1.3% in Cina, 1% Italia) e meno dell’1% sotto i 50 anni per entrambe. 

Al di là dei numeri e di tutti i confronti che possono essere fatti sulla mortalità e sulla letalità da COVID-19, una cosa è certa: come prima mai era successo, il sistema sanitario si sta trovando a dover gestire un numero elevato di persone che nello stesso momento hanno bisogno di cure nelle terapie intensive

Il nostro contributo per aiutare a far diminuire la mortalità del virus è stare a casa. Solo diminuendo i contagi possiamo evitare che tante altre persone si ammalino di COVID-19 e, di conseguenza, rischino la propria vita. Quindi rispettiamo le regole, le norme igieniche e #restiamoacasa anche noi.

Dorotea Roggio | Biologa e Ricercatrice
Scritto da Dorotea Roggio | Biologa e Ricercatrice

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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