Terrore di rimanere disconnessi. Si chiama ‘Nomofobia’ (no-mobile-phone-phobia, termine di recente introduzione nel vocabolario della lingua italiana Zingarelli) ed è la malattia da iperconnessione del 21° secolo.
Scattare foto, riprendere video, segnare gli appuntamenti sull’agenda, seguire le mappe stradali, ascoltare musica e soprattutto navigare, in considerazione di tutte queste funzioni, lo smartphone oggi è diventato un elemento indispensabile. La “moda” dei dispositivi digitali ha lasciato il posto a una vera e propria dipendenza e, in pochi anni, WhatsApp, Facebook, Instagram e Twitter sono diventati i nostri migliori amici.
Dipendenza da connessione?
Indubbiamente, la tecnologia nell’ultimo decennio ha facilitato la vita di tutti: la possibilità di connettersi sempre, di poter consultare il web in ogni momento per risolvere un dubbio o una curiosità, la prospettiva di contattare chiunque in qualsiasi parte del mondo, è stata una rivoluzione sia nei rapporti personali che lavorativi.
Ma attenzione, l’online mania può degenerare anche in una vera e propria malattia che rende schiavi dei dispositivi digitali. Infatti quando il telefonino diventa, oltre che uno strumento utile e funzionale, un bisogno imprescindibile e la possibilità di perderlo provoca delle vere e proprie crisi di panico, allora siamo affetti da ‘Nomofobia’.
I sintomi più comuni sono l’ansia incontrollabile insieme alla rabbia e in alcuni casi anche la depressione, che subentra quando non si ha la possibilità di navigare online o di utilizzare chat o social network. Batteria scarica, perdita di segnale o guasti improvvisi, possono provocare in un nomofobico attacchi di ansia difficili da gestire e controllare.
Secondo alcuni studi, il legame allo smartphone è affine a tutte le altre forme di dipendenze, perché causa delle difficoltà nella produzione della dopamina. Questo neurotrasmettirore controlla e contiene alcune funzioni che si mettono in atto nel cervello, fra cui fra cui la ‘ricompensa piacevole’ il circuito celebrale che sta alla base delle attività che procurano soddisfazione. Inibita la dopamina ne consegue che si perde il controllo delle funzioni e si tende ad abusare di ciò che provoca un sentimento di appagamento. Questo meccanismo si cela dietro le dipendenze.
“Nomofobia”: una dipendenza riconosciuta
Secondo un recente studio, effettuato da Morningside Recovery (centro di riabilitazione mentale di Newport Beach), l’America è il paese che soffre maggiormente di dipendenze da iperconnessione, infatti, milioni di Americani sono affetti da nomofobia e molti di loro raggiungono stati notevoli di agitazione incontrollata. Negli ultimi due anni, negli Usa, proporzionalmente allo sviluppo tecnologico, i nomofobici sono aumentati del 13%.
Le nuove patologie da iperconnessione sono state sottoposte ad analisi da parte dell’Osservatorio nazionale adolescenza in uno studio che ha coinvolto 8mila ragazzi dagli 11 anni di età. Dall’indagine emerge che circa il 98% degli adolescenti utilizza uno smartphone personale dall’età di 10 anni; di questi, almeno il 95% ha un profilo sui social. Inoltre, il dato più preoccupante, è che ben sei adolescenti su dieci dichiarano di non poter fare a meno di WhatsApp che ha sostituito qualsiasi altro canale di comunicazione a distanza.
Dalla fotografia scattata dall’Osservatorio, appare chiaro che, soprattutto per le nuove generazioni, i dispositivi tecnologici e digitali sono indispensabili, se non di vitale importanza, nella quotidianità della maggior parte delle persone.
Ma quali sono gli effetti di questo essere sempre connessi? La nomofobia che genere di sintomi manifesta?
L’osservatorio traccia un quadro preciso e dettagliato dei segnali da cui poter individuare la presenza o meno della malattia:
- ‘Vamping’ l’etimologia parla chiaro: quando, come i vampiri, si trascorre la notte svegli sui social, allora siamo chiaramente affetti da questo disturbo da iperconnessione. Psicologi e sociologi, ritengono che questo fenomeno è la diretta conseguenza di una vita troppo piena di obblighi, dunque ai giovani manca il tempo per socializzare con gli amici e per concedersi qualche momento di svago.
- ‘Like addiction’ la dipendenza dai ‘mi piace’. L’insicurezza, tipica dell’età adolescenziale, trova conforto nel ricevere approvazione sui social, ed è per questo che molti teenager si mettono ‘in vetrina’ pubblicando foto o contenuti video per ottenere ‘like’ e dunque risollevare l’autostima. Ma la ricerca di ‘like’ può diventare una vera e propria ossessione trasformandosi in una dipendenza pericolosa.
- ‘Fomo’ dall’inglese ‘fear of missing out’ letteralmente la paura di rimanere fuori dal giro, dunque, diventa un’abitudine svegliarsi nel corso della notte per controllare notifiche e messaggi per non rimanere indietro con gli aggiornamenti. Recenti indagini hanno messo in evidenza come l’utente sia sempre più angosciato di essere tagliato fuori dal mondo dei social e questa paura può diventare sempre più un labirinto senza uscita
- ‘Challenge o sfide social’ dilagano sul web queste ‘competizioni’ nella maggior parte dei casi estreme. Imprese stravaganti e pericolose, speso legate all’abuso di alcol o di droghe, che vengono filmate e producono un effetto emulativo di contagio. Alla base di questi comportamenti c’è una mania di protagonismo evidente che nasconde, nella maggior parte dei casi, insicurezza e paura di non essere notati in una società che corre troppo veloce.