Il morbo di Alzheimer, che colpisce soprattutto in età avanzata, potrebbe essere intravisto in via preventiva anche nel cervello dei giovani. Infatti, alcuni studiosi di Cambridge hanno dedotto i punti deboli dell’Alzheimer, sostenendo che da questi si potrebbe riuscire a prevenire la malattia.
Il motivo per cui si arriva a soffrire in età senile di questa malattia è dovuto al fatto che delle proteine, come la beta-amiloide e la tau, arrivano nel cervello. Sembra che le parti più deboli del cervello vengano intaccate da queste proteine, definite tossiche.
Grazie a uno dei tanti, forse troppi, cervelli che sono andati via dall’Italia e che hanno trovato ausilio altrove, si è trovato il modo di prevenire una malattia che miete vittime da sempre.
Lo studio sull’Alzheimer: campioni a confronto
Durante lo studio, sono stati presi ben 500 campioni di tessuto cerebrale di persone sane e di individui deceduti a causa di questa malattia. Dallo studio effettuato su questi si è potuto vedere che nei cervelli di questi ultimi non vi era più traccia delle proteine che servivano a contrastare l’Alzheimer.
Questo fa dedurre che già quando si hanno vent’anni si può capire se questo genere di proteine lavora bene o meno. La malattia attacca, quindi, quei tessuti vulnerabili del cervello di una persona tra i venti e i cinquant’anni. Quello che viene messo in discussione è, in pratica, l’equilibrio tra le parti e cioè tra quei fattori che lo dovrebbero proteggere e che sono di controllo e quelli che, in qualche modo, prevengono l’unione delle proteine negative per il cervello stesso.
Lo scopo di questi studi è di arrivare a capire se si può percepire se una persona già da giovane mostri o meno una certa predisposizione a questa malattia. Il passo successivo sarebbe quello di evitare che i giovani di oggi in futuro possano contrarre l’Alzheimer, facendo analisi preventive.
La sperimentazione di nuovi farmaci per la prevenzione dell’Alzheimer
Le neurostatine rappresentano il modo migliore fino ad ora di contrastare questa malattia. Nel frattempo, si sta sperimentando un nuovo farmaco.
Il numero preso a campione è di circa 900 individui, ma nonostante su molti di loro abbia avuto e abbia ancora dei risultati ottimi, su altri non ha avuto lo stesso effetto, purtroppo. Dai primi risultati, è apparso chiaro come questa medicina riesca a frenare in qualche modo l’avanzare della malattia, cercando di rafforzare la parte del cervello che viene “aggredita” in quanto debole.
Il farmaco in questione è il Lmtx. Malati e famiglie intere sperano che presto i risultati possano migliorare e che questa malattia che li affligge riesca a essere sconfitta totalmente.
A una parte delle persone, circa il 20 per cento, sottoposte al test, è stato somministrato il farmaco da solo e dopo circa un anno e mezzo di studi, sembra che questi siano riusciti a svolgere delle funzioni che prima non riuscivano più a compiere. Quelle che per noi possono sembrare cose scontate che appartengono al quotidiano, per le persone affette dall’Alzheimer sono gesti complicati, come vestirsi oppure spogliarsi e mangiare da soli.
A un’altra parte di individui il Lmtx è stato somministrato insieme ad altri farmaci e non si sono ottenuti gli stessi risultati positivi. Anche ripetendo la risonanza magnetica dopo la cura, si è potuto constatare che l’atrofia del cervello si era effettivamente ridotta, ma solo nei pazienti che avevano preso il farmaco in modo assoluto.
Il resoconto di questo periodo di studi è stato presentato a Toronto durante una conferenza internazionale proprio sull’Alzheimer.
I medicinali del futuro contro l’Alzheimer
Sembra che attraverso un eventuale uso di neurostatine, come accennato già in precedenza, si potrebbe evitare che le proteine nocive possano intaccare un cervello giovane, la proteina beta amiloide è la prima tra tutte. Le statine generalmente sono usate per aiutare le persone a risolvere problemi di colesterolo e cardiaci, allora ci si è chiesti: “Perché non usare le neurostatine per ridurre la possibilità di avere il morbo dell’Alzheimer?”
Risultati più concreti
Per vedere dei risultati concreti su tutti i pazienti, bisognerà aspettare ancora molto tempo, ma la cosa importante è che già si sta iniziando a muovere qualcosa nella direzione giusta per fermare questa malattia.
Proprio perché l’Alzheimer è un problema che si presenta in età avanzata, andando avanti negli anni interesserà sempre il maggior numero di persone, visto che la percentuale degli anziani è di gran lunga superiore alla presenza di neonati, bambini e giovani. Probabilmente, se anche questi dati cambiassero, sarebbe già un modo per bloccare l’avanzamento di questa malattia che affligge circa 1,5 milioni di persone.