Siete persone ansiose? Potreste andare incontro all’Alzheimer

Martina Valizzone | Psicologa

Ultimo aggiornamento – 06 Marzo, 2018

Qual è il legame tra alzheimer e ansia

Un recente studio ha evidenziato come la presenza di livelli piuttosto elevati di ansia nella popolazione anziana potrebbe rappresentare un indicatore precoce del morbo di Alzheimer. Si tratta di una scoperta importante, che potrebbe aiutare gli esperti a identificare i soggetti potenzialmente a rischio demenza in questa particolare fascia d’età.

Si stima che nel 2017, il morbo di Alzheimer e le patologie neurologiche ad esso correlate abbiano coinvolto 50 milioni di persone in tutto il mondo, circa 600 mila in Italia, pari al 4% della popolazione over 65.

Questa patologia provoca un lento declino delle capacità cognitive e di memorizzazione, difficoltà a organizzare i pensieri e, in ultimo, ritiro e isolamento sociale. Attualmente, non esistono trattamenti efficaci in grado di contrastare l’avanzamento della malattia. Dunque, riuscire a identificare eventuali indizi premonitori potrebbe aiutare a mitigarne gli effetti. Per questo motivo i risultati preliminari offerti da questo studio rappresentano un indubbio passo avanti nella conoscenza di questa patologia e di un suo possibile trattamento. Cerchiamo di capire meglio questa correlazione tra Alzheimer e ansia.

Alzheimer e ansia: qual è il legame

Lo studio condotto dai ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston e pubblicato sull’American Journal of Psychiatry ha messo in evidenza l’esistenza di un’associazione tra i livelli di beta amiloide (proteina coinvolta nello sviluppo del morbo di Alzheimer e in particolare nella distruzione delle sinapsi) e i livelli d’ansia.

La ricerca ha preso in esame i risultati ottenuti da uno studio denominato Harvard Aging Brain Study della durata di 5 anni, condotto su una popolazione di 270 soggetti anziani, uomini e donne, di età compresa tra i 62 e i 90 anni, senza disturbi psichiatrici attivi.

I partecipanti allo studio sono stati sottoposti a indagine strumentale tramite tomografia a emissione di positroni (Pet), allo scopo di rilevare i livelli di amiloide-beta nel cervello e alla Geriatric Depression Scale (GDS), una scala standardizzata utilizzata in psicodiagnostica per valutare la presenza di sintomi depressivi nella popolazione anziana che indaga la presenza di tre gruppi di sintomi depressivi: apatia-anedonia, disforia e ansia.

Diagnosi precoce e prevenzione: questo l’obiettivo dello studio

Secondo quanto emerso da questa ricerca, ad un peggioramento dei sintomi ansiosi sarebbero associati livelli più elevati di beta amiloide, la proteina che, secondo i ricercatori, identifica il morbo di Alzheimer.

«Piuttosto che considerare la depressione come un sintomo univoco, abbiamo voluto prenderne in considerazione i suoi diversi aspetti quali l’ansia, l’apatia e l’umore disforico. Dall’analisi di questi sintomi abbiamo potuto osservare che i sintomi ansiosi tendono a peggiorare nel tempo nei soggetti con i livelli di beta amiloide più elevati – ha dichiarato l’autrice principale della ricerca, dr.ssa Nancy Donovan del Dipartimento di Psichiatria del Brigham and Women’s Hospital di Boston – Questo suggerisce che l’ansia nella popolazione anziana potrebbe essere un sintomo precoce di Alzheimer, che si manifesta molto tempo prima dell’esordio della demenza, addirittura prima del decadimento cognitivo e dei problemi di memoria» – ha concluso Donovan.

Insomma, questi risultati supportano l’ipotesi che i sintomi neuropsichiatrici potrebbero essere un indicatore precoce del morbo di Alzheimer.

Attualmente, però, i meccanismi alla base dell’associazione osservata non sono del tutto chiari. Dunque, per validare questa ipotesi sono necessari ulteriori studi volti a confermare o smentire quanto scoperto sino ad oggi dai ricercatori di Boston. Nel caso l’ipotesi che vede l’ansia come un indicatore valido in grado di diagnosticare precocemente l’Alzheimer fosse avvalorata da nuovi studi, analizzare i livelli d’ansia nella popolazione anziana potrebbe aiutare non solo identificare i soggetti più a rischio ma anche a rallentare o prevenire il decorso della malattia.

L’Alzheimer è considerata una delle emergenze del futuro. Si stima che entro il 2050 il numero dei malati arriverà a 131 milioni di persone, una vera e propria epidemia in grado di diffondersi molto rapidamente a causa di stili di vita non salutari ma anche e soprattutto per via del progressivo invecchiamento della popolazione.

Queste stime allarmanti spiegano l’interesse dei ricercatori e del mondo scientifico sull’argomento, avvalorato peraltro anche nel corso del G8 nel quale si è voluta ribadire la necessità di trovare una cura per la malattia di Alzheimer entro il 2025, allo scopo di contrastare questa seria emergenza sanitaria.

Nella lotta alle demenze, gran parte della battaglia è quella che si compie sul fronte della prevenzione e della diagnosi precoce. Questo studio – che punta il dito sui livelli di ansia nella popolazione anziana – potrebbe dunque rappresentare un valido punto di partenza per la creazione di programmi di screening volti a individuare le categorie di soggetti più a rischio ma anche, e soprattutto, un ulteriore passo in avanti verso una possibile cura del morbo di Alzheimer.

Martina Valizzone | Psicologa
Scritto da Martina Valizzone | Psicologa

Sono una psicologa dell'età evolutiva, con una specializzazione in psicoterapia sistemico relazionale. In ambito lavorativo, mi occupo principalmente di terapie individuali e familiari e, da qualche anno, di psicologia dell'educazione, lavorando alla progettazione e realizzazione di interventi psico-pedagogici in ambito scolastico ed extrascolastico.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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