Da una recente ricerca statistica risulta che le richieste di risarcimento da parte dei pazienti sono aumentate in 15 anni del 250%. Il SSN ci rimette 10 miliardi l’anno, le persone ci rimettono la salute – compresi i medici – gli ospedali muoiono.
Tutti i problemi sociali nascono da difetti culturali e civili. Viviamo tempi in cui sembra pagare più il male che il bene.
In generale, l’atteggiamento nei confronti del problema malasanità è sempre teso alla ricerca dello scandalo, e ciò è davvero scandaloso. Alla sacrosanta denuncia non segue una sana ricetta, non si risponde a un criterio di giustizia ma a una meschina convenienza personale.
A mio avviso non è più tempo di recriminazioni, è tempo di soluzioni perché quando sei colpito dalla freccia non è importante da dove viene, l’importante è toglierla.
Ma cosa può fare allora chi frequenta un ospedale? Aprire gli occhi per cominciare.
Vediamo un po’, diamo un’occhiata – così esordiscono i dottori in una visita medica. L’ospedale impegna la vista, non basta guardare, l’ospedale esige osservazione. Vale per tutti. Gli occhi dei camici esaminano lastre, scrutano monitor, si concentrano nei microscopi. Grazie all’ipermetropia tecnologica, vedono nel cuore delle molecole. Diversi sono gli occhi dei pigiami che, rapiti dalla certezza domestica, cercano di orientarsi aggrappandosi a scogli di conforto per uno smarrimento che non è solo spaziale ma interiore. A volte si perdono, restano fissi oltre il nulla delle finestre o capitolano nell’affanno di turbe mentali. La notte e la paura, spesso in combutta, li accecano.
Le sollecitazioni sono così tante che spesso gli occhi dimenticano di vedere e di notarsi, ciascuno concentrato sul proprio particolare. In ospedale (è evidente, ma di frequente disatteso) invece serve l’occhio clinico, quello che vuole prima di tutto conoscere: la verità oltre il sintomo, la persona dentro il camice, l’anima sotto il pigiama.
È importante che gli sguardi si incrocino e le persone si incontrino, si comprendano in quello stato di attenzione reciproca, per fare luce sulla via della guarigione. È difficile perché la testa pesa, è più facile restare raggomitolati nel proprio dolore o nel proprio dovere, ma ora non è solo una questione di utilità, è una vitale necessità. L’emergenza è conclamata e tutti devono fare qualcosa in più, per il bene di tutti.
L’occhio clinico cerca di risalire dall’effetto alla causa, cerca la soluzione, non una soluzione.
Il medico la scopre con la capacità d’intuito, il paziente la percepisce con l’onestà della coscienza.
Dietro l’ombra di ogni malattia c’è sempre un’illuminazione che rivela la verità, cerchiamola.