Quando si dice “chi trova un amico trova un tesoro” si fa riferimento soprattutto a tutti quei momenti in cui le persone sentono il bisogno di empatia, di qualcuno che li capisca, che li stia ad ascoltare senza giudicarli.
L’amico è colui che ti sostiene nei momenti più difficili, che sa che alle volte è meglio stare zitti invece che dire il classico luogo comune, che porterebbe soltanto a innervosire di più chi è già arrabbiato. Pensiamo a tutti i bei momenti che si passano in compagnia degli amici, le cene, le gite al mare, le serate a ridere di niente. Ecco, l’amicizia è anche questo, divertimento e comprensione, e chi ha vicino qualcuno che riassume tutte queste caratteristiche può ritenersi fortunato.
Una ricerca inglese, però, ha sfatato un po’ questa affermazione, ritenendo che le persone con una maggiore intelligenza non riescano a godere della compagnia altrui, anzi, il loro livello di soddisfazione si potrebbe addirittura abbassare stando in compagnia.
Intelligenza Vs Amicizia
Satoshi Kanazawa della London School of Economics e Norman Li della Singapore Management University hanno condotto questa ricerca, pubblicata successivamente sul British Journal of Psychology. Il loro questionario è stato proposto a 15mila giovani, con un’età compresa tra i 18 e i 28 anni e aveva lo scopo di capire quali fossero gli elementi che rendono più amabile la vita. I ragazzi hanno dichiarato che si sentono più felici in compagnia di altre persone, ma le percentuali si sono nettamente abbassate tra gli individui dotati di un’intelligenza superiore.
“Le persone dotate di un’intelligenza superiore si ritrovano a soffrire in compagnia dei propri amici”, questo è ciò che Kanazawa e Li hanno tratto dalla ricerca. Il loro appagamento è inversamente proporzionale alla frequenza con cui vedono i propri amici. Queste dichiarazioni però sono in netto contrasto con ciò che fin’ora varie ricerche avevano dimostrato, ovvero che la compagnia di altre persone può portare solo giovamento nelle varie esistenze. Le ragioni di queste ritrattazioni sono da ricercare nel passato di ognuno di noi.
“Se si ripercorre la storia dell’uomo, ci si imbatte in gruppi di persone che dipendevano l’una dall’altra, per la caccia, per la raccolta dei prodotti dei campi, per la riproduzione, quindi era necessario avere dei rapporti molto stretti e di fiducia. Man mano che l’umanità progrediva, anche l’intelligenza subiva un cambiamento, chi era più dotato intellettualmente aveva meno bisogno dell’aiuto degli altri, sapeva arrangiarsi da solo e, al momento di necessità, ingegnarsi. Da qui anche una maggiore capacità di adattamento, riuscendo a far a meno dell’aiuto degli altri”, continuano i due studiosi.
Una ricercatrice del Brookings Institution, Carol Graham, ha spiegato in una rivista rilasciata al Washington Post che i motivi di questa maggiore soddisfazione nel vivere “isolati” potrebbero essere diversi.
Chi ha una maggiore intelligenza e obiettivi alti e ambiziosi, pur di raggiungere il proprio scopo è in grado di focalizzarsi completamente su di esso, preferendo non “perdere tempo” socializzando, e ottimizzandolo per arrivare alla propria meta il prima possibile, senza distrazioni.