Sono molti i pazienti completamente paralizzati, incapaci di comunicare con il mondo esterno; vengono definiti “locked-in”, chiusi dentro, ad evidenziare come siano coscienti ma impossibilitati a stabilire una forma di contatto con il mondo esterno. Si tratta di una condizione sconvolgente anche solo da immaginare.
Ma è possibile per loro comunicare attraverso un’interfaccia cervello-computer?
Ricerche in corso da tempo
Già da tempo si testano diversi prototipi di interfacce tra cervello e computer, che mirano a tradurre l’attività cerebrale in segnali, bypassando il resto del Sistema Nervoso e dei muscoli.
Questi dispositivi permetterebbero di compiere operazioni “con la forza del pensiero”, come manovrare apparecchiature e strumenti a distanza o scrivere facendo lo spelling delle parole a mente.
L’obiettivo di queste ricerche è quello di realizzare sistemi di ausilio per pazienti completamente paralizzati o colpiti da malattie neurodegenerative, come la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).
Non sono mai state ottenute prove effettive del loro funzionamento. Infatti, i risultati delle sperimentazioni si sono rivelati ambigui. Sono sorti anche dubbi sulla capacità di concentrazione necessaria all’utilizzo di questi strumenti da parte dei pazienti.
Una nuova ricerca: come comunicare con la forza del pensiero
Uno studio, condotto da un team internazionale guidato da Niels Birbaumer, del Wyss Center per la Bio e Neuroingegneria di Ginevra (Svizzera), sembrerebbe dimostrare il contrario.
Infatti, un nuovo dispositivo sperimentato su 4 pazienti riporta i primi risultati positivi. In varie sessioni di allenamento, solo con la forza del pensiero, soggetti incapaci di muovere anche solo gli occhi sono riusciti a rispondere “sì” o “no” a domande specifiche, a comunicare stati d’animo o bisogni.
Ciò è stato possibile grazie ad un sistema in grado di elaborare i livelli di ossigenazione del sangue e l’attività elettrica del cervello; questi cambiamenti erano misurati a seconda della risposta ed il sistema è stato addestrato a interpretare i segnali risultanti, come una risposta affermativa o negativa.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Plos Biology ed evidenziano come, rispetto ai “vecchi” sistemi sperimentali che misuravano la sola attività elettrica, questo è affidabile 7 volte su 10.
La sorpresa maggiore per i ricercatori è stata constatare che tutti e 4 i pazienti hanno risposto “sì” alla domanda “sei felice?”, ad evidenziare come, anche in condizioni impensabili e intollerabili per una persona normale, un piccolo miglioramento nella qualità della vita può significare moltissimo.