Nell’ultimo periodo si parla spesso di diagnosi di ADHD, soprattutto in età adulta, e i social media rappresentano la cassa di risonanza di questo crescente interesse intorno a una tematica che solitamente viene associata solo alla neurodivergenza infantile.
TikTok sembra essere il social con maggiori contenuti in merito e sempre più persone, anche grazie ai video trovati sulla piattaforma, cominciano a domandarsi se possano avere l’ADHD.
Approfondiamo di seguito il fenomeno social e le sue conseguenze.
I pericoli dell’informazione veloce sui social
Diversi studi hanno evidenziato come la ricerca di informazioni riguardo autismo e neurodivergenza possa essere fuorviante: la comunità scientifica sostiene che moltissimi dei contenuti di informazione sulle tematiche presenti sulle piattaforme social siano inaccurati.
Uno studio, ad esempio, ha approfondito il meccanismo generato dalla visione di un contenuto online sui sintomi legati all’ADHD: è emerso che, sebbene i social possano aiutare a ridurre lo stigma sulla salute mentale e promuovere la conoscenza sanitaria, la disinformazione e il rischio di "cybercondria", cioè l'ansia causata dal consumo non moderato di contenuti online generati dagli utenti, destano preoccupazione.
Si è notato un aumento di comportamenti simili a tic tra gli adolescenti, attribuito all'esposizione ai video su TikTok che ne parlavano.
Inoltre, è stato constatato che gli spettatori preferiscono i video realizzati da individui con un’esperienza personale da raccontare rispetto a quelli istituzionali o creati dagli operatori sanitari.
La conclusione dello studio citato, il primo a evidenziare la diffusione ampia di video fuorvianti riguardo l'ADHD su TikTok, è che un altro fattore in gioco è la conoscenza limitata del funzionamento dell'algoritmo: infatti, nonostante sia stata la piattaforma di social media più popolare nel 2020 e nel 2021, TikTok è attualmente quella meno studiata.
Dunque, "è cruciale che i medici siano consapevoli di questa situazione e del suo potenziale impatto sull'assistenza clinica. Inoltre, la scoperta che gli operatori sanitari tendono a caricare video di migliore qualità suggerisce la necessità di ulteriori studi per valutare se il coinvolgimento degli specialisti su TikTok potrebbe contribuire a contrastare la disinformazione sull'ADHD e altri disturbi."
Quando l’autodiagnosi sui social ci fa sentire ascoltati
Basta cercare l’argomento su Reddit, il sociale delle domande, in cui migliaia di persone si confrontano su qualsiasi argomento tramite dei threads a cui chiunque può aggiungere una risposta (un’evoluzione contemporanea dei forum), per comprendere la frustrazione che si prova nella mancata diagnosi di ADHD.
Si percepisce che, nonostante ci si renda conto che l’argomento a volte possa essere banalizzato, il desiderio che gli specialisti prestino più attenzione alle avvisaglie di neurodivergenza anche in età adulta è considerato un problema ben più grave.
Anche su Instagram si dibatte sul ruolo dell’autodiagnosi: molte persone raccontano le difficoltà che si riscontrano nel ricevere un responso definitivo, mettendo l’accento sull'importanza di iniziare a informarsi per contro proprio per iniziare un percorso di consapevolezza.
L’argomentazione comune è quella legata all’abbandono che si prova, alla solitudine data dai tanti dubbi che spesso non vengono compresi dagli specialisti; al contrario sulle piattaforme social è sempre più diffuso un senso di comunità, appartenenza e accoglienza intorno a queste tematiche, motivo per cui l’autodiagnosi appare come la scelta più confortante.
D’altra parte, diverse persone che hanno già esperienza diretta o indiretta con autismo o ADHD affermano che la disinformazione e la banalizzazione dei disturbi sia pericolosa, anche per le stesse persone che hanno una diagnosi definitiva o che cercano di ottenerla.
I contenuti sulle piattaforme social, come sottolineato da uno studio condotto dalla Drexel University, sono “iper generalizzati”: solo il 27% di quelli analizzati contiene contenuti accurati; il 32% dei video, invece, presenta generalizzazioni eccessive, mentre oltre il 40% risulta completamente impreciso.
Come evidenzia la psicologa clinica Bianca Denny in un articolo su Medium, “mentre i pazienti sono esperti della propria vita, la maggior parte non ha competenze diagnostiche. Molti disturbi condividono caratteristiche comuni, il che rappresenta un altro pericolo nell’autodiagnosi.”
La specialista, però, non attribuisce all’informazione sui social ogni responsabilità, ma invita a ragionare sulla complessità della situazione, parlando di inaccessibilità alla valutazione psichiatrica per molte persone, sia per mancanza di personale qualificato disponibile, sia per il costo elevato di queste prestazioni.
Introduce, inoltre, un concetto chiave per spiegare l’importanza che viene attribuita all’auto diagnosi: “C'è anche un'altra spiegazione che merita attenzione, ovvero la crescente tendenza a patologizzare le normali esperienze umane. Cerchiamo sempre più un modo per spiegare ogni stranezza, sfumatura e caratteristica che ci rende noi stessi. L'autodiagnosi ci offre l'opportunità di cercare risposte su noi stessi, sugli altri e su ogni decisione o esperienza che abbiamo avuto.”
In sintesi, responsabilizza entrambe le parti in gioco, sia chi fruisce di contenuti online non sempre accurati sull’ADHD per comprendere la sua situazione (nonché chi produce questa tipologia di video o post), ma anche la comunità scientifica che, al momento, non è in grado di gestire la crescente domanda di diagnosi di autismo, ADHD o DSA in età adulta: “Anche se imperfetta e definitiva, l'autodiagnosi fornisce una soluzione momentanea che può essere un utile primo passo per prendere coscienza e iniziare un viaggio alla ricerca di aiuto. Ma dovrebbero anche essere prese per quello che sono: informazioni non verificate spesso presentate da persone prive di qualifiche. E anche una piccola informazione sbagliata può essere pericolosa.”