Sunshine guilt: perché stare a casa col bel tempo ci fa sentire in colpa?

Arianna Bordi | Editor

Ultimo aggiornamento – 09 Settembre, 2024

Ragazzo sul divano in casa col telefono in mano

Le vacanze sono finite e per molti è arrivato il momento di fare i conti con la cosiddetta "malinconia estiva": quel mix di ansia e tristezza che si prova quando le aspettative sulla bella stagione non sono state del tutto soddisfatte.

Il nuovo tormentone di TikTok è il sunshine guilt, ovvero quella sensazione di rimorso che ti assale quando ti rendi conto di aver perso l'occasione di goderti appieno le giornate di sole che avevi a disposizione. 

Vediamo di seguito un approfondimento in merito.

Quando l’estate sembra un insieme di occasioni perse

Un sondaggio di Forbes Health su 2000 americani ha mostrato che quasi la metà della popolazione sperimenta sintomi di malessere psicologico durante i mesi estivi, con una percentuale ancora più alta tra i giovani.

Inoltre, un'analisi di tre anni di dati governativi ha rivelato che le persone che vivono in alcuni stati del sud-est degli Stati Uniti sono più propense a sperimentare sintomi di ansia e depressione durante i mesi estivi.

Negli ultimi giorni di vacanza, molti giovani, infatti, si trovano a confrontarsi con un senso di inadeguatezza crescente.

La pressione sociale, amplificata dai social media, li spinge a sfruttare ogni momento libero per esperienze stimolanti, alimentando così il fenomeno del sunshine guilt.

Quella che ormai è una paura legata alla socialità ben definita, la FOMO (Fear of Missing Out), sembra aver raggiunto livelli preoccupanti tra i giovani utenti, i quali manifestano una crescente difficoltà a godere dei momenti di relax e a staccare la spina dalla vita online.

"Il sunshine guilt è un senso di colpa, insieme ad ansia o tristezza, che si prova quando si resta in casa in una giornata di sole, spesso a causa del lavoro o di altri impegni", spiega Sandra Kushnir, terapeuta familiare e di coppia, nonché fondatrice di Meridian Counseling. 

"Potrebbe esserci un senso di pressione per sfruttare al meglio il bel tempo e la paura di sprecare preziose giornate di sole", afferma. "Questo ragionamento inconscio può creare un senso di urgenza e colpa, come se ci fosse un numero limitato di giornate di sole disponibili e restare in casa equivalesse a perdere quelle opportunità".

Non esistendo una definizione clinica precisa per il "senso di colpa dovuto alle giornate di sole passate in casa" e la letteratura scientifica non ha ancora approfondito in modo sistematico questo fenomeno.

Tuttavia, Burant ipotizza che possa essere interpretato come una manifestazione di un più ampio senso di colpa legato al non conformarsi a norme sociali e culturali che esaltano l'importanza di godere della natura e del tempo libero.

La specialista ipotizza che la pandemia abbia potuto intensificare il senso di colpa legato al non godere delle giornate soleggiate.

Infatti, la limitazione forzata delle libertà individuali durante i lockdown potrebbe aver generato un desiderio quasi ossessivo di recuperare il tempo perduto all'aria aperta.


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Ed è lo stesso periodo dell’anno dopo l’estate, da settembre in poi, che ci porta a pensare che le occasioni per godere della luce saranno ancora meno: settembre, mese di transizione, ci regala giornate che si accorciano lentamente; il 21 settembre, con l'equinozio d'autunno, il giorno e la notte si dividono in parti uguali, come un invito a bilanciare luce e ombra.

Nonostante una media di circa 12 ore di luce, dunque, la percezione è quella di un sole che ci abbandona sempre più presto, passando da oltre 13 ore di luce all'inizio del mese a poco meno di 12 alla fine.

Godere del sole secondo le proprie esigenze: come fare?

Ecco alcune dritte per cercare di portare la luce sia fisicamente che psicologicamente nella propria vita, senza bisogno di conformarsi alle abitudini delle persone che ci circondano o che fanno parte della nostra “bolla social”:

Digital detox

Carolina Traverso, psicoterapeuta dell’individuo e della coppia e insegnante di mindfulness, raccomanda innanzitutto una periodica disconnessione dai dispositivi digitali (attività che molti creator attuano nel weekend, come se fosse una sorta di tempo offline da dedicare a se stessi), poiché è fondamentale per il nostro benessere mentale. 

La sovraesposizione agli stimoli esterni, infatti, impedisce alla mente di riposare e di dedicarsi a processi cognitivi superiori come la creatività e la risoluzione dei problemi.

Bisognerebbe strutturare il tempo libero con una routine che includa attività fisiche e momenti di relax: ritagliarsi dei momenti dedicati ad attività piacevoli, anche in solitudine, favorisce il benessere psicologico e migliora la qualità del sonno.

Dedicare tempo al relax

La creazione di uno spazio personale dedicato al benessere è fondamentale per affrontare i ritmi frenetici della vita moderna.

Che sia una scrivania con libreria, una zona della casa dedicata allo yoga, un angolo di lettura con una poltrona, questo luogo dovrebbe essere progettato per favorire il relax, la concentrazione e la rigenerazione.

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Il riposo non è una perdita di tempo

Il confronto sociale costante, tipico del mondo virtuale, può generare ansia e insoddisfazione ed è fondamentale imparare ad ascoltare i segnali che il proprio corpo invia: concedere del tempo al riposo, senza sensi di colpa, è un atto di amore. 

In un mondo che esalta la performance continua, infatti, è essenziale ritagliarsi momenti di quiete: praticare hobby stimolanti e ridurre l'esposizione ai dispositivi digitali sono strategie efficaci per migliorare il benessere psicologico.

Arianna Bordi | Editor
Scritto da Arianna Bordi | Editor

Dopo la laurea in Letteratura e Lingue straniere, durante il mio percorso di laurea magistrale mi sono specializzata in Editoria e Comunicazione visiva e digitale. Ho frequentato corsi relativi al giornalismo, alla traduzione, alla scrittura per il web, al copywriting e all'editing di testi.

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
Arianna Bordi | Editor
Arianna Bordi | Editor
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