Psicofarmaci e salute mentale: miti, paure e realtà. Intervista al dott. Lucio Oldani

Federica Carbone | Autrice

Ultimo aggiornamento – 10 Ottobre, 2024

Ragazza sul divano e terapeuta di fronte a lei

La figura dello psichiatra si è finalmente liberata dell’alone angosciante di cui era un tempo rivestita e sempre più persone si rivolgono con fiducia agli psichiatri per affrontare problematiche legate alla salute mentale. Ma è davvero così? 

Molte di loro sono ancora reticenti, soprattutto quando si parla di psicofarmaci. La paura di effetti collaterali, dipendenza o danni a lungo termine è comune. 

Per risolvere alcuni dubbi, capire meglio queste paure e scoprire come affrontarle, abbiamo intervistato il dottor Lucio Oldani, medico psichiatra e psicoterapeuta.

Affrontare la paura dei pazienti verso gli psicofarmaci

Uno degli aspetti più delicati del lavoro di uno psichiatra è proprio la gestione delle paure dei pazienti. Il dottor Oldani sottolinea come queste paure siano spesso legate a preconcetti e miti antichi, ma anche a una scarsa conoscenza del funzionamento dei farmaci stessi. "È fondamentale", spiega Oldani, "che durante il colloquio clinico queste paure vengano affrontate apertamente. Se non lo facciamo, la cura parte già monca".

Molti pazienti si presentano con timori che spaziano dal possibile aumento di peso alla paura di diventare dipendenti dai farmaci, fino all’idea che questi possano non funzionare. "Il mio compito", prosegue, "è spiegare chiaramente come un farmaco agisce sul sistema nervoso centrale e come può migliorare la qualità di vita del paziente. Solo così possiamo ridurre la sfiducia e l'ansia verso la terapia farmacologica".

Farmaci più temuti: antipsicotici e antidepressivi

Alcune classi di farmaci, però, suscitano più timore di altre. Tra queste, gli antipsicotici sono forse i più temuti. Il dottor Oldani attribuisce questa paura al nome stesso della classe, che evoca immediatamente immagini di psicosi e di cure intense per disturbi molto gravi. 

"La maggior parte delle molecole che appartengono a questa classe", chiarisce, "hanno profili di sicurezza molto buoni, e vengono utilizzate non solo per trattare la psicosi, ma anche per una vasta gamma di condizioni che non hanno nulla a che vedere con essa". 

Anche se si trattasse di sintomi psicotici, Oldani invita a riflettere su cosa significhi realmente la parola "psicosi" e sulla necessità di comprendere piuttosto che temere.

La parola "psicosi" è stata spesso associata a stigma e fraintendimenti, evocando immagini di gravi disturbi mentali e di pericolosità. Il termine deriva dal greco antico "psyche" (ψυχή), che significa anima o mente, e "-osis" (ωσις), che indica un processo patologico o una condizione anormale. È importante chiarire che non si riferisce a una malattia, ma è un sintomo comune a diverse condizioni psichiatriche. 


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Un altro gruppo di farmaci che suscita timore sono gli antidepressivi, che secondo il dottore sono malintesi anche a causa del termine stesso. "La parola 'antidepressivo' non rende giustizia alla vasta gamma di disturbi su cui possono agire", osserva. 

Effetti indesiderati come l'aumento di peso o l'interferenza con la sfera sessuale sono spesso fonti di preoccupazione, ma Oldani insiste sulla necessità di affrontare queste paure attraverso un dialogo aperto e informato. A questo proposito esorta i pazienti a non avere paura di fare domande ai terapeuti, giacché è anche loro i compito di informarsi.

Paure comuni e come affrontarle

Molti pazienti del dottor Oldani condividono le stesse paure della community di P. by Pazienti.it: paura di ingrassare, timore che i farmaci non funzionino, preoccupazione per possibili effetti collaterali o per la dipendenza dai farmaci. 

Oldani conferma che questi timori sono molto diffusi, ma spesso derivano da una mancanza di comprensione sia della condizione clinica sottostante che del funzionamento dei farmaci stessi. "È fondamentale accompagnare il paziente attraverso i suoi dubbi", spiega, "e spiegare che la terapia può essere modulata in base alle sue esigenze. Ognuno è unico, e la terapia segue il decorso clinico del paziente".

Uno degli aspetti su cui Oldani insiste è che, nonostante i timori legati agli psicofarmaci, questi farmaci vengono spesso temuti più di altri, che pur appartenendo a specialità diverse, possono causare effetti collaterali altrettanto significativi. 

"Un trattamento con cortisone", spiega, "può far aumentare di peso tanto quanto un antidepressivo, ma è spesso accolto con meno preoccupazione proprio perché non appartiene alla classe dei neuropsicofarmaci". Ancora una volta, lo stigma gioca un ruolo importante.

La realtà dietro i miti

Ma queste paure sono realistiche? O si tratta di miti che continuano a persistere? Secondo il dottor Oldani, spesso i timori legati agli psicofarmaci affondano le radici in un passato in cui i farmaci erano meno raffinati e presentavano maggiori rischi di effetti collaterali. Basti pensare alle storie di dive del passato come Marilyn Monroe o Judy Garland che caddero vittima dei farmaci che avrebbero dovuto aiutarle.

Quei tempi però sono passati: "Ora non è più così", afferma con convinzione. Tuttavia, molti pazienti rimangono legati a questa storia oscura della psichiatria come una forma di resistenza a confrontarsi con il proprio malessere e iniziare il percorso di cura.

La chiave, secondo Oldani, sta ancora una volta nell'informazione: "I miti vanno demoliti, ma è importante ricercare informazioni da fonti affidabili e avere una disposizione d'animo aperta. Solo così possiamo superare i pregiudizi".

Quando è necessario prescrivere un farmaco?

Non tutti i pazienti che si presentano dal dottor Oldani hanno bisogno di psicofarmaci. Il primo passo è sempre valutare il funzionamento generale del paziente, ovvero se ci sono cambiamenti significativi rispetto a un livello precedente di benessere. 

"Se il modo in cui stiamo al mondo, sentiamo le cose e ci relazioniamo con gli altri è cambiato in peggio", spiega, "allora è il momento di chiedere una visita psichiatrica". Tuttavia, anche se il farmaco non è necessario, esistono altre strategie per prendersi cura della psiche, e lo psichiatra dovrebbe essere il punto di riferimento in questi casi, senza indugi o imbarazzi.

Insomma, si conferma che lo psichiatra non è né il medico dei pazzi, né quello che liquida con una prescrizione farmacologica, ma un professionista sanitario in grado di ascoltare il disagio del paziente, contestualizzarlo e offrire terapia e supporto.

La scelta del farmaco e l’importanza della diagnosi

Uno dei dubbi ricevuti dalla community è stato il seguente: "se lo psichiatra non fa diagnosi, come fa a scegliere il farmaco giusto per il mio disturbo?", e tale insicurezza mina un po’ la fiducia nei confronti del terapeuta e delle sue prescrizioni. 

La scelta di un determinato farmaco però non sempre richiede una diagnosi formale al primo incontro. In molti casi, i sintomi possono essere trattati farmacologicamente anche prima che venga formulata una diagnosi definitiva. 

"Alcune diagnosi", osserva Oldani, "richiedono un'osservazione longitudinale di almeno sei mesi per essere confermate. Ma fortunatamente, possiamo iniziare un processo di cura agendo sui sintomi anche prima di avere una diagnosi precisa". Questo approccio flessibile permette di iniziare il trattamento senza dover attendere troppo a lungo.

La possibilità di iniziare la terapia farmacologica quanto prima può essere di grande supporto anche perché aiuterà a lavorare meglio in seduta. La psicoterapia, infatti, tende a provare molto la persona e se questa, oltre a dover gestire la fatica del lavoro con lo psicoterapeuta, deve affrontare anche la sintomatologia può andare velocemente in sovraccarico.

Reazioni dei pazienti alla prescrizione

È importante sfatare certi miti perché proprio a causa loro le reazioni dei pazienti alla prescrizione di farmaci variano. Insomma, i modi in cui i pazienti reagiscono al pensiero di una terapia farmacologica sono tanti: c’è chi rifiuta i farmaci ed esclude di rivolgersi allo psichiatra, chi accetta la terapia con cautela, e altri ancora sono impazienti di iniziare per migliorare il proprio benessere. 

Oltre a questi ci sono coloro che arrivano dal dottor Oldani impauriti e restii a iniziare la cura, spesso dopo aver atteso mesi o addirittura anni. "Mi dispiace per loro", confessa Oldani, "perché hanno atteso tanto, spesso a causa di preconcetti non necessari. Ma è sempre possibile iniziare a stare meglio, a partire dalla conoscenza".

L'importanza della compliance

Un altro tema su cui Oldani insiste è l'importanza di seguire scrupolosamente la terapia. "Una compliance imprecisa", avverte, "riduce l'efficacia della cura. Il sistema nervoso centrale desidera ricevere la stessa dose, alla stessa ora, ogni giorno. Saltare dosi o assumere altre sostanze può interferire con il processo di guarigione". 

Per chi ha difficoltà a seguire la terapia il dottor Oldani consiglia di riflettere sulle proprie motivazioni e affrontare eventuali problematiche nel corso del colloquio clinico. 

"Esistono condizioni", specifica, "in cui alcune funzioni cognitive, tra cui memoria, attenzione, capacità di programmazione sono alterate, a vario titolo: in questi casi dovranno essere immaginate strategie molto specifiche per il singolo caso, ad esempio coinvolgendo nel processo di cure anche figure caregiver o i servizi del terzo settore." 

Quando è possibile interrompere la terapia?

Per quanto riguarda la sospensione dei farmaci, esistono regole cliniche che suggeriscono quando è possibile ridurre o interrompere il trattamento e che non è il caso di indagare perché sono da valutare individualmente e sotto stretto controllo medico. 

"La terapia farmacologica", spiega Oldani, "genera un cambiamento nel sistema nervoso centrale, ed è possibile modificare il trattamento solo quando le condizioni iniziali sono cambiate e il sistema ha avuto il tempo di rimodellarsi". Questo processo richiede tempo specifica il dottor Oldani: "Non parliamo di settimane, ma di mesi, poiché il tessuto nervoso si modifica lentamente".

Terapie a lungo termine

Nonostante molti pazienti sperino di poter interrompere la terapia, ci sono casi in cui i farmaci saranno necessari a vita. "Non c'è nulla di male in questo", afferma Oldani. "Alcune condizioni cliniche richiedono una terapia stabile, e dobbiamo demolire il preconcetto che vede i farmaci come una soluzione temporanea. Con il tempo, è possibile accettare questa necessità e trarne beneficio".

Quello che capita ad alcuni pazienti affetti da psicopatologie, nella gestione della terapia farmacologica, non è tanto lontano da ciò che accade a chi ha malattie croniche come cardiopatie o diabete

Anche in questi casi il paziente, non avendo una sintomatologia invalidante grazie ai farmaci, potrebbe essere tentato dalla sospensione. È qui che deve entrare in gioco il rapporto con il curante che saprà sostenere il paziente nei momenti di irrequietezza, fornendogli uno spazio di ascolto e ventilazione del vissuto emotivo.

Sessualità e psicofarmaci

Un tema particolarmente delicato è l'impatto degli psicofarmaci sulla sessualità, spesso fonte di preoccupazione per molti pazienti. Gli effetti sulla sfera sessuale possono includere:

  • la riduzione della libido; 
  • difficoltà a raggiungere l'orgasmo; 
  • problemi di erezione per gli uomini. 

Questi effetti indesiderati sono segnalati soprattutto con l'uso di antidepressivi della classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e, in misura minore, con altre classi di psicofarmaci come gli stabilizzatori dell'umore o gli antipsicotici.

Il dottor Oldani conferma che la riduzione della libido può essere uno degli effetti indesiderati degli antidepressivi, ma sottolinea che si tratta di un effetto molto soggettivo: “Ho pazienti che per piccole dosi hanno accusato alterazioni e altri che non hanno mostrato nulla anche per dosaggi medio-alti”. Questo rende fondamentale un approccio personalizzato, considerando che ogni individuo reagisce in modo diverso alla terapia.

In molti casi, come spiega Oldani, la riduzione del desiderio sessuale è in realtà un sintomo della stessa depressione, non un effetto collaterale del farmaco. "Molti pazienti", continua, "recuperano un desiderio sessuale altrimenti ridotto o assente proprio grazie al miglioramento dei sintomi depressivi". È quindi essenziale considerare il quadro complessivo del paziente e il modo unico in cui vive la propria sessualità, che è un aspetto altamente soggettivo e influenzato da numerosi fattori.

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Per affrontare il problema, il dottor Oldani sottolinea che lo psichiatra deve mantenere viva la bilancia rischio-beneficio, valutando attentamente l'impatto della terapia sugli effetti indesiderati di tipo sessuale, ma anche su altri aspetti della vita del paziente. Se necessario, la terapia può essere ripensata, modificando dosaggi o cambiando farmaco, per garantire il miglior equilibrio possibile tra il benessere fisico e mentale.

In questo contesto, evidenzia anche l'importanza del dialogo continuo tra paziente e terapeuta, per garantire che le preoccupazioni legate alla sfera sessuale siano affrontate e gestite in modo adeguato, sempre considerando il punto di partenza e le esigenze individuali del paziente.

La nutraceutica come supporto

Il dottor Lucio Oldani è anche un esperto di nutraceutica, una disciplina che si occupa dello studio e dell'uso di sostanze alimentari con effetti benefici per la salute, al di là del loro semplice valore nutritivo. 

Il termine deriva dalla combinazione di "nutrizione" e "farmaceutica" e indica quei prodotti che, pur essendo derivati da alimenti naturali, hanno proprietà medicinali o terapeutiche

In pratica, la nutraceutica mira a utilizzare i componenti di alcuni cibi, come vitamine, minerali, antiossidanti, acidi grassi o altri composti bioattivi, per migliorare il benessere o prevenire malattie.

Esempi di prodotti nutraceutici includono:

  • probiotici (microrganismi vivi che supportano la salute intestinale); 
  • omega-3 (acidi grassi benefici per il cuore e il cervello); 
  • antiossidanti (come le vitamine C ed E, che proteggono le cellule dai danni ossidativi); 
  • polifenoli (composti presenti nel tè verde, nel vino rosso o nel cioccolato fondente, noti per le loro proprietà antinfiammatorie). 

La nutraceutica può essere utilizzata per il trattamento e la prevenzione di numerose condizioni, come problemi digestivi, malattie cardiache, infiammazioni e disturbi mentali.

"La nutraceutica", spiega, "è ormai un'opzione di trattamento che può essere proposta insieme ai farmaci tradizionali. Questi composti, che derivano dal regno animale o vegetale, sono ben tollerati e possono migliorare l'umore, ridurre l'ansia e stabilizzare l'umore". 

Ci tiene inoltre a specificare "[i nutraceutici] non sono “migliori" dei farmaci classici, semplicemente hanno un valore diverso, che dovrebbe essere valorizzato con il proprio psichiatra. Sconsiglio un uso “casuale”, seguendo le mode del momento. Anche un trattamento nutraceutico deve essere personalizzato".

Un ulteriore consiglio per chi ha bisogno di supporto psicofarmacologico

In chiusura, il dottor Oldani offre un consiglio a chi si trova di fronte alla necessità di iniziare una terapia farmacologica: "Immaginate le terapie come un'opportunità, non come un sacrificio. La psiche è un'entità affascinante: con l'educazione e la conoscenza possiamo risolvere i nostri timori. Il mio consiglio è di accogliere questa opportunità come un viaggio in compagnia del proprio terapeuta, verso uno stato di salute migliore".

Federica Carbone | Autrice
Scritto da Federica Carbone | Autrice

Scrivo di salute mentale dal 2015 quando, per prima in Italia ho iniziato a parlare di guarigione dal disturbo borderline di personalità come ex paziente. Questo mi ha permesso di attirare l'attenzione dei professionisti che mi hanno invitata a portare la mia testimonianza in giro per il Paese.

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
Federica Carbone | Autrice
Federica Carbone | Autrice
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