Quando mi viene chiesto se mi piacciono i videogiochi e se ho un titolo preferito, dal quale torno sempre anche dopo aver sperimentato con altri generi, come quelli di avventura grafica, rispondo senza pensarci due volte.
The Sims è il prescelto: un gioco che mi accompagna da quando avevo più o meno 11 anni (ne ho quasi 28); ci ho giocato su tre console diverse, su PC, nella versione limitata e un po’ triste dell’app per telefono, seguo tuttora le uscite delle nuove espansioni dell’ultimo della serie, ossia The Sims 4 e sono abbonata a un canale Patreon (una piattaforma online per content creator) che fornisce anticipazioni sui nuovi aggiornamenti e materiale custom per migliorare l’esperienza di gioco.
Ma perché è il mio porto sicuro? Possibile che non mi abbia mai stancata?
Per chi non sapesse di cosa si tratta, è un gioco di simulazione di vita reale: puoi creare il tuo personaggio, un’eventuale famiglia, comprare una casa nel quartiere che preferisci, capire che lavoro potrebbe piacere di più al tuo Sim.
Lo scopo del gioco non è quello di portare a termine delle missioni o di sbloccare degli obiettivi − uno dei motivi principali per cui viene considerato poco stimolante da alcuni gamer − ma di far vivere ai Sim creati tutto quello che più preferisci, come se fossi una divinità, un burattinaio che gioca con delle vite virtuali.
The Sims 4: un gioco inclusivo che non riesce a impedire il fat shaming
The Sims ha da sempre permesso l'inserimento di elementi creati da sviluppatori indipendenti e/o appassionati auto-didatti per personalizzare l'esperienza di gioco: materiali custom se si tratta di accessori, vestiti, opzioni di arredamento aggiuntive e MOD (abbreviazione di modification, ovvero modifica) se le aggiunte introducono nuove funzionalità nel gioco, come, ad esempio, la possibilità di avere altre carriere a disposizione per i propri Sims.
Entrando in alcuni gruppi Facebook o facendo un giro su Reddit, ci si rende presto conto che, in un mare di possibili customizzazioni a disposizione per il gameplay, è molto diffusa l’esigenza di rendere i propri personaggi tonici, in forma.
Ci si può imbattere in post che contengono domande come “i miei Sim sono grassi anche se faccio di tutto per mantenerli in forma, mangiano solo insalate, usano il tapis roulant eppure continuano a prendere peso, ma come è possibile?” oppure “non ho mai avuto questo problema, ma mi assicuro sempre che non mangino cibo spazzatura, che pratichino arrampicata, così rimangono in forma anche durante la gravidanza”.
Sono state create, inoltre, delle MOD per cui puoi impedire al tuo Sim di prendere peso ed è comune trovare risposte in cui gli utenti consigliano di “non farli bere niente che non sia acqua” e “far fare loro un po’ di jogging o di palestra e limitare il consumo di pasti completi cercando di compensare con degli snack”.
Esempi di post da un gruppo Facebook su The Sims
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Maxis, la casa di produzione, negli anni ha fatto grandi passi avanti verso l’inclusività.
Nelle versioni più recenti del gioco, infatti, è possibile modellare il corpo del proprio Sim per realizzare tante fisicità differenti; vi è un'adeguata scelta di tonalità per il colore della pelle; sono stati inseriti degli oggetti pensati per i Sim transgender e dispositivi medici (come misuratori di glucosio e apparecchi acustici) per una maggiore inclusione delle persone con disabilità.
Nonostante tutto questo, però, i fruitori di The Sims sembrano voler mantenere quegli stereotipi che lo stesso gioco sta cercando di superare.
Abbiamo un problema con la rappresentazione dei corpi normali, dei corpi grassi, non eccezionali, all’interno del videogioco.
Accanto ai fisici energici e scattanti dei protagonisti e delle protagoniste, infatti, l’antagonista ha solitamente sembianze ributtanti per quanto riguarda il volto e, spesso, un corpo non conforme a quello degli standard dell’immaginario collettivo.
Agata Waszkiewicz, ricercatrice nel campo dei videogiochi e autrice del testo Delicious Pixels. Food in Video Games, nell’articolo Non-Normative Gender Performances of Fat Video Game Characters per la rivista scientifica Acta Universitatis Sapientiae ha sottolineato come “l'assenza di personaggi grassi - controllabili dal giocatore o come personaggi non giocabili (NPC) - non significa che la grassezza sia completamente assente dai videogiochi. Per fornire un feedback chiaro e facilmente comprensibile ai giocatori (riguardo la dinamica di gioco, N.d.R.) molti mostri e avversari umanoidi sono progettati come grassi e grandi per segnalare la loro forza e i livelli di difficoltà più alti.”
Dunque, se la forma fisica considerata “perfetta” ci perseguita anche in un videogioco, è inevitabile riflettere su quanto la visione dei corpi, dei corpi funzionanti che però non soddisfano i nostri standard estetici (ma lo sono davvero o li abbiamo resi tali inconsciamente?), sia onnipresente anche nel momento in cui stiamo svolgendo un’attività ludica, di svago.
L'esempio di Wii Fit e della sua attenzione al peso dei giocatori
Mentre facevo scrolling su TikTok mi sono imbattuta in alcuni video a partire da un trend recente, che ha spopolato anche su X.
Taylor Swift ha pubblicato un nuovo album, chiamato The Tortured Poets Department e una canzone, Who's Afraid of Little Old Me?, in particolare la strofa "You wouldn't last an hour in the asylum where they raised me" ("non sopravvivresti nemmeno un'ora nel manicomio dove sono cresciuta") ha dato vita a una serie di video e tweet, ironici e non solo, che la contestualizzano in base al proprio vissuto personale.
Alcuni TikTok mi hanno portato a riflettere su una console, che io stessa ho avuto, ossia la Nintendo Wii.
Lanciata nel 2006, è stata la settima generazione di console Nintendo e la prima a utilizzare il motion control come elemento centrale del gameplay.
Ne sono state vendute oltre 101 milioni di unità in tutto il mondo, rendendola una delle console più popolari di tutti i tempi nonché elogiata per la sua semplicità e per la capacità di aver attirato un pubblico ampio, inclusi i giocatori non abituati ai videogiochi.
La sua peculiarità era con un controller wireless chiamato Wii Remote che i giocatori usavano per muoversi e interagire; era dotato di un sensore di movimento e di un accelerometro, per tracciare i movimenti del giocatore nello spazio reale.
Questo ha permesso di creare nuovi tipi di giochi che non erano possibili con i controller tradizionali, come Wii Sports, in cui si poteva giocare a tennis, baseball, golf, pugilato, bowling, e Wii Fit, incentrato sul fitness e sul benessere e includeva una serie di esercizi e attività progettati per aiutare i giocatori a migliorare la forma fisica, l'equilibrio e la flessibilità.
Quest'ultimo veniva venduto insieme alla Wii Balance Board, una periferica sensibile alla pressione che consentiva ai giocatori di interagire con i giochi usando il loro peso corporeo, che veniva utilizzata per misurare il peso, l'equilibrio e il baricentro del giocatore; i dati raccolti venivano poi utilizzati per personalizzare gli esercizi e i giochi.
Ovviamente lo scopo della riflessione non è quello di condannare un videogioco che poteva aiutare a fare esercizio fisico, il problema è stato, però, non aver prestato la dovuta attenzione al target di riferimento.
Veniva utilizzato anche da bambini e ragazzi che creavano il proprio profilo giocatore pesandosi su una bilancia che misurava l'IMC, ossia l'indice di massa corporea, un concetto ormai superato.
Questa "bilancia da gioco" dava il potere a Wii Fit di sentenziare sui corpi in maniera completamente decontestualizzata, senza avvalersi di strumenti professionali e/o valutazioni cliniche complete.
Già nel 2003 evidenze scientifiche confermavano che i bambini e gli adolescenti sono particolarmente suscettibili ai messaggi e alle immagini trasmessi dai media: la loro fase di sviluppo, infatti, li rende meno capaci di discernere tra realtà e rappresentazione, esponendoli a potenziali rischi.
Con gli anni le fonti mediatiche dalle quali poter essere influenzati sono aumentate e di pari passo anche il loro impatto: l’avvento dei social network, per cui immagini pubblicate con filtri e app di post-produzione riflettono una realtà che non esiste; l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nella creazione di immagini ancor più irreali (al di là dei pericoli sull’intento con il quale vengono generate); l’esasperazione di trend e mode che portano a voler raggiungere una versione di noi che non ci rispecchia.
Ciò non significa demonizzare la tecnologia, i videogiochi o i social network, ma provare a porsi delle domande, cercando di uscire dalla propria “bolla social” e dalla percezione personale che ognuno di noi ha della fruizione di questa tipologia di contenuti.
È possibile sentirsi rappresentati nello spazio virtuale?
Un altro aspetto importante da considerare, che arricchisce il quadro appena delineato, quando si parla di corpi virtuali è la rappresentazione delle donne nell'esperienza di gioco: è sempre stata problematica data la forte presenza dell’ipersessualizzazione del corpo femminile.
In un articolo per WWAC (Women Write About Comics) Megan Patterson, scrittrice ed editor per una rivista su scienza e tecnologia, conferma lo stereotipo del corpo grasso associato all’antagonista, già menzionato citando Waszkiewicz, per cui una donna, quando non è magra e formosa allo stesso tempo, può avere solo sembianze mostruose: “[…] Ma quando la grassezza è inclusa nei giochi, tende a presentarsi in tre modi diversi: come ‘Altro’, come ‘Madre’ o come ‘Mostro’. Ci sono ovviamente delle eccezioni, ma queste sono le categorie più comuni. Emarginarla è abbastanza semplice: significa che gli unici personaggi grassi che puoi vedere in un gioco sono una razza aliena o fantasy che non è umana.”
Bulimia.com, che fornisce informazioni educative, ricerche e risorse sulla bulimia nervosa e su qualsiasi complicazione fisica o mentale correlata, ha modificato con Photoshop alcuni dei personaggi femminili più amati dei videogiochi, da Christie Montiero di Tekken a Lara Croft di Tomb Raider, modellando i loro corpi in base alle misure medie delle donne americane: il risultato è un contrasto evidente con le eroine originali, mostrando finalmente girovita realistici, braccia e gambe più larghe e non innaturalmente toniche.
La normalizzazione dei corpi di Bulimia.com
Lara Croft - Tomb Raider
Christie Montiero - Tekken 5
Jade - Mortal Kombat
In seguito a questo esperimento, nell’articolo si pone l’ennesimo interrogativo sulla presenza di fisicità femminili non realistiche nei videogiochi: “L'esposizione a tali immagini può portare a sviluppare un'immagine distorta del proprio corpo, con pensieri ossessivi e autocritiche costanti. In alcuni casi queste ossessioni negative possono sfociare in comportamenti alimentari pericolosi e compulsivi, come l'anoressia o la bulimia, con gravi ripercussioni sulla salute fisica e mentale. Mentre gli sviluppatori di videogiochi vantano tecniche di illuminazione iperrealistiche all’avanguardia, una domanda sorge spontanea: perché la rappresentazione del corpo femminile rimane così distorta?”
Ci si trova atterriti davanti a un paradosso per cui cambia tutto, ma non cambia nulla.
Come accennato in precedenza, i media a disposizione sono cambiati: le ricerche non si basano più sulla fruizione di riviste di moda, programmi e pubblicità televisivi, ma sul mondo social e tecnologico nel quale siamo immersi e grazie ai quali la libertà di informarsi è ben più ampia.
In questo contesto, meno filtrato e in cui l'informazione riesce ad arrivare anche da realtà prima inaccessibili, la sensibilizzazione riguardo la grassofobia non riesce ancora a essere interiorizzata come ci si aspetterebbe.
Un'analisi dell'attività di 234 blogger statunitensi, tra il 2014 e il 2015, a cura di SAPIENS conferma quanto il mondo virtuale possa essere altrettanto ostile per chi lotta con il proprio peso quanto la realtà stessa.
I blog risultavano pieni di confessioni di fallimenti: le persone si accusavano di mancanza di "disciplina", "incompetenza" nell'autocontrollo, di incapacità di seguire diete e fare esercizio, come se fossero quei Sim spinti dal giocatore che li manovra a perdere peso a tutti i costi.
Inoltre, la piccola percentuale di blogger presa in analisi che promuoveva un approccio di accettazione di sé e salute in ogni taglia è stata bersaglio di attacchi feroci, come accade adesso alle persone che provano a offrire una divulgazione scientifica e un supporto riguardo l'accettazione del proprio corpo grazie al canale dei social media.
Il paradosso si espande e sembra ancora troppo difficile da fermare, perché nessuno spazio riesce a rappresentare una zona priva di stigma riguardo la fisicità, nemmeno la dimensione virtuale, il luogo per eccellenza in cui il corpo è visibile ma non è reale – un immateriale insieme di pixel ordinati.
Rendere i corpi "conformi" e farli rientrare in uno schema di bellezza deciso da altri è ancora una priorità alla quale non riusciamo a rinunciare.