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Quando si può definire una persona insulino-resistente?

Salve, 
è da 3 anni che ho scoperto di avere la curva insulinica un po' alta, soffrendo di acne da quando avevo 19 anni, ovaio leggermente microcistico, l'endocrinologo mi ha fatto fare l'esame della curva di carico da glucosio. Mi ha fatto prendere la Metformina fino a 500 gr mattino e sera, contemporaneamente prendevo anche Sibilla, sempre per controllare l'acne. Poi le ho smesse entrambe perchè mi venivano degli sfoghi sulla pelle che cominciavano con un prurito, quando mi grattavo emergevano dei puntini piccoli rossi (come petecchie), ma non erano le pillole a causarle a quanto pare, poichè, pur smettendo, continuo ad avere ogni tanto questi piccoli sfoghi e ancora non si è capito a cosa siano dovuti (ho fatto anche esami nucleo, visita ematologo, angiologo). Ritornando all'iperinsulinemia, l'ultimo esame fatto, dopo aver sospeso anche Metformina per 3 mesi, è risultato così un mese fa: "glicemia basale 81 (60-110) dopo 30', 131 dopo 60', 79 dopo 90', 88 dopo 120', 89 insulina basale 7,36 (2,60 -24,90) dopo 30' 146,10, dopo 60' 122,10, dopo 90' 102,90, dopo 120' 118,30" con questi valori, secondo voi devo prendere Metformina? Peso 54 kg e sono alta circa 1,65, ho 34 anni. Faccio sport e seguo una dieta sana. Ho eliminato totalmente zucchero e non mangio dolci se non in rare occasioni. Evito patate e carote cotte. Mangio solo integrale, no cibi raffinati o industriali, confezionati. Prendo integratore inositolo (Mioxin oro) ho calcolato indice homa e risulta 1,75, quindi non sarei insulino-resistente. Dopo questo esame, il mio endocrinologo mi ha fatto ricominciare Metformina 250 gr pranzo e poi anche cena. Vorrei avere pareri di altri endocrinologi.

Grazie

Risposta

Gentilissima Utente,
la tua domanda è di estremo interesse, in quanto consente di dibattere il concetto, non sempre ovvio, di resistenza all'insulina da parte di un organismo.

La nozione base risulta essere nella scarsa sensibilità delle cellule dell'organismo all'azione e alle capacità dell'Insulina.

Segue, a tale causa, l'effetto che il glucosio non venga assorbito in maniera funzionalmente adeguata al livello che ci si aspetterebbe per il valori di insulinemia.

Cosa succede allora? Cosa succederebbe in una qualunque fabbrica di fronte ad una richiesta di mercato alta (si legga in questo esempio: glicemia alta)?

La dirigenza non farebbe altro che disporre un aumento della quantità di prodotto da immettere sul mercato.

Ecco allora che il pancreas reagisce aumentando la quantità di Insulina prodotta al fine di poter smaltire l'iperglicemia.

Questo compenso  è valido? Si può affermare che di certo è funzionalmente valido ai fini metabolici e ciò, anche per anni, riesce a sopportare e supportare iperglicemia.

In buona sostanza, il pancreas "capisce" che per avere una glicemia "giusta" occorre una maggiore quota di insulina e tale surplus lo produce.

Tutto bene dunque? Non è così, purtroppo.

Il perchè di questo vige nel fatto che l'insulina è pur sempre un ormone.

Come ogni ormone, l'insulina possiede svariate azioni e ruoli funzionali.

Infatti, l'inadeguata quantità di insulina è di certo un fattore favorente numerosi stati patologici: obesità, dislipidemia, ipertensione arteriosa, steatosi epatica ed eventuali ripercussioni su altri organi bersaglio.

Ecco allora che il meccanismo di compenso posto in atto dall'organismo risulta, nel divenire del tempo, essere dannoso con possibilità di evocare danni organici anche gravi.

Occorre però immettere nel nostro ragionamento un ulteriore tassello al fine di completezza.

L'insulino-resistenza può anche essere secondaria: vale a dire essere frutto di altra patologia preesistente.

Tale preesistente stato di malattia, oltre che svolgere la sua azione patogena principale, è anche in grado secondariamente di provocare insulino-resistenza.

In quali malattie succede? Si da un breve e parziale elenco: morbo di Cushing, sindrome di Prader, morbo di Cooley, obesità, feocromocitoma, emocromatosi, acromegalia, anemia di Fanconi, diabete e diabete gestazionale, ipertensione arteriosa.

Ora il quadro appare completo. La domanda immediatamente successiva, ed è quella che la gentile Utente sottintende, è quale sia l'esame in grado di identificare la vigenza di insulino-resistenza.

La risposta è che non esiste.

La prima indagine è volta a stabilire se lo stato di insulino-resistenza sia primario o secondario (come si diceva: secondario a svariate malattie di cui si è dato un parziale, ma significativo esempio).

Quindi esami e tests volti al fine di escludere preesistenti malattie provocanti lo stato di resistenza all'insulina.

Tale esplorazione appare spesso difficile e indaginosa richiedendo tempo e pazienza. Una volta esclusa la secondarietà della disfunzione, si potrà accentrare l'attenzione sullo studio della primarietà dello stato di insulino-resistenza.

Occorrerà approntare una batteria di tests ematici di primo livello con test di tolleranza al glucosio, emoglobina glicata, profilo lipidico, studio della proteina c reattiva ad alta sensibilità, alanina amino transferasi, acido urico, testosterone e la misura della globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG) e porsi in stato di attivo controllo dei medesimi con successivi approfondimenti relativi.

Di fronte ad una supposta o in caso di sospetto, occorre che il medico, in simbiosi con in paziente, discuta del problema: senza nascondere le difficoltà, dovrà analizzare le possibili cause e le dirette possibili conseguenze di tale stato disfunzionale e, per contro, il paziente dovrà metter in campo la propria pazienza, nonchè l'apprezzamento verso un medico che sappia svolgere una simile attività fatta di modestia e comprensione.

Saluti
Risposta a cura di
Dr. Flavio Trombetta Medico Chirurgo
Dr. Flavio Trombetta
diabetologomedico di Medicina interna
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