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Come mai un uomo di 55 anni vive con frustrazione episodi di bullismo del passato?

Sono un professionista di 55 anni. Figlio unico, sono stato tenuto dai miei genitori, sin da bambino, molto isolato: sono stato a scuola solo in 1^ e 2^ elementare (in una scuola privata), poi ho studiato privatamente a casa con un insegnante, ho ripreso la scuola a 13 anni, in 3^ media, senza problemi. In quegli anni, fin da bambino, ho avuto solo raramente e occasionalmente amicizie di coetanei, rimanendo isolato (anche i miei genitori avevano poche e non continue frequentazioni, sia a livello amicale che parentale). Iniziando la scuola superiore però, dai 14 anni in poi, ho avuto molta difficoltà, non a livello di studio (nel quale ero molto bravo), ma a livello relazionale: non riuscivo a rispondere ai (in effetti normali) motteggi dei miei coetanei adolescenti, reagendo apparentemente con l’indifferenza ed un accenno di sorriso, ma dentro di me con la tristezza e a volte la depressione, la rimurginazione sugli episodi accaduti (vissuti come bullismo, anche se leggero) e un abbassamento di autostima. Cominciai ad avere poche amicizie con ragazzi simili a me per timidezza. Dai 18 anni in poi ho cominciato a ‘sbloccarmi’ parzialmente, cominciando a frequentare gruppi e comitive e quindi anche ragazze. Da adulto, ho avuto fasi (giorni o periodi) di tristezza e depressione alternate a fasi, diciamo così, ‘normali’, in un periodo, in particolare, rivivendo come ‘pensiero intrusivo’ un episodio di lieve bullismo accadutomi molti anni prima, a 14 anni, nel quale ero stato insultato. A partire da un periodo di successo professionale e di raggiungimento di un obiettivo in particolare al quale aspiravo molto nella mia vita lavorativa, mi è passato tutto e sono stato ‘bene’. Successivamente, ho subito un tentativo pubblico di denigrazione e ridicolizzazione nel mio ambito lavorativo attraverso il web e questo episodio si è poi trasformato in una sorta di ‘pensiero intrusivo’ depressivante, che mi invade quando sono triste o mi rende triste quando mi invade (difficile distinguere l’una o l’altra modalità): esso spesso si accentua quando sto facendo qualcosa di piacevole. Da qualche tempo prendo delle Benzodiazepine, che mi sono accorto tenermi l’umore più alto, e in particolare frenare o proprio evitare la depressione ed il pensiero intrusivo in questione. Più in generale, posso aggiungere che ho raggiunto (almeno al momento) solo in parte gli obiettivi professionali e personali che mi ero prefisso, devo dire molto ‘alti’, forse da definire proprio ‘ideali’: su questo provo, a tratti, molta frustrazione, attribuendo in verità, anche secondo quanto dicono persone che mi conoscono bene, al sistema clientelare, familistico e politico (nel quale non sono mai stato inserito) l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi professionali più ‘alti’. Sul piano personale, non ho difficoltà a relazionarmi con una donna, anche dal punto di vista erotico, ma vivo da solo, non sono sposato e non ho figli (queste cose in passato non mi attiravano, ma da alcuni anni le desidero). Quali sono i vostri pareri e le vostre impressioni da un punto di vista clinico? Un grazie di cuore per l’attenzione ed un cordiale saluto.

Risposta

Gentile utente,
esiste un narcisismo sano che entra nella costruzione della nostra identità. Tale narcisismo inevitabilmente viene ferito da situazioni ed eventi di vita.
Il superamento di queste ferite avviene, con la consapevolezza e l’ammissione dell’esistenza dell’altro e delle circostanze che ci feriscono, permette di sanare la ferita.
Quando però la frustrazione, la rabbia, l’umiliazione per la ferita risultano soverchianti, non si realizza la possibilità di integrare tali sentimenti ed elaborarli. Essi rimangono perciò come ferita non sanata che torna, dando luogo a volte a veri disturbi (disturbi d’ansia, depressione).

Cordialità
Risposta a cura di
Dr. Roberto Di Rubbo Medico Chirurgo
Dr. Roberto Di Rubbo
psichiatra
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