Buongiorno,
gli
ansiolitici, gergalmente chiamati tranquillanti per il loro effetto, sono un’ampia classe di farmaci utilizzata generalmente per il trattamento di
ansia, agitazione e
insonnia.
La loro azione è sfruttata trasversalmente in tutte le patologie psichiatriche e quindi anche nella
depressione. Chiaramente, l’effetto che si cerca dagli ansiolitici solitamente non è un effetto curativo, ma un
effetto sintomatologico. Chiariamo con un esempio: in caso di depressione, spesso si può associare una secondaria sintomatologia ansiosa, quindi l’impostazione farmacologica potrebbe prevedere un
antidepressivo con funzione curativa (curare la depressione) e un ansiolitico con effetto sintomatologico (ridurre l’ansia associata alla depressione). Questa doppia impostazione farmacologica è tipica soprattutto nelle fasi iniziali di malattia, poi, dopo il primo mese, si tenderà a togliere l’ansiolitico, mentre l’antidepressivo verrà mantenuto per più tempo (da stabilirsi con il curante).
Venendo al principio attivo degli ansiolitici, in generale, si classificano in
ansiolitici benzodiazepinici (raggruppano tutte le benzodiazepine) e
ansiolitici non benzodiazepinici.
Le
benzodiazepine sono una classe molto eterogenea di molecole che variano tra di loro per emivita, potenza, presenza di metaboliti attivi, metabolismo. Ne deriva che ogni singola benzodiazepine ha una peculiare azione (ansiolitica, ipnoinducente, sedativa). Tutte le benzodiazepine, chi più chi meno, sono caratterizzate da tolleranza e rischio di dipendenza, motivo per il quale si tende ad utilizzarle per non più di un mese.
Gli
ansiolitici non benzodiazepinici (sostanzialmente
Pregabalin e
Gabapentin) hanno azione spiccatamente ansiolitica (viene meno l’effetto ipnoinducente) e sono scevre dal rischio di dipendenza e tolleranza.
Sperando di esserti stato d’aiuto, ti porgo i miei saluti.