Vivere in un brutto quartiere fa invecchiare

Andrea Salvadori | Blogger

Ultimo aggiornamento – 30 Giugno, 2015

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Un nuovo studio, guidato dal professor Mijung Park, dell’Università di Pittsburgh School of Nursing e pubblicato on-line sulla rivista PLoS One, sembra non lasciare dubbi: vivere in un brutto quartiere può accelerare l’invecchiamento.

I ricercatori hanno esaminato più di 2.900 persone nei Paesi Bassi e hanno scoperto che coloro che vivono in quartieri con alti livelli di rumore, criminalità e vandalismo risultano biologicamente 12 anni più vecchi di quelli che vivono in zone migliori. Precedenti ricerche avevano già portato alla luce i legami tra vita in un brutto quartiere e bassa salute mentale e fisica. Ora, questo team ha analizzato l’impatto sulle salute cellulare, arrivando alla conclusione che il processo di invecchiamento biologico potrebbe essere influenzato dalle condizioni socio-economiche in cui una persona vive.

Reazione fisica e mentale

Park e i suoi colleghi si sono concentrati sui telomeri, i cappucci di protezione che si trovano alle estremità dei filamenti di DNA. I telomeri si accorciano naturalmente con l’età, ma questo processo può essere accelerato dallo stress fisico o mentale.

Le differenze di lunghezza dei telomeri tra i due gruppi erano paragonabili a 12 anni di età cronologica“, ha detto lo studioso. Questo risultato suggerisce che l’ambiente di vita più duro di un brutto quartiere può accelerare l’invecchiamento.

È possibile che le loro cellule si siano cronicamente attivate in risposta a stress psicologici e fisiologici creati da circostanze socio-economiche, politiche ed emotive sfavorevoli“.

Svelato il collegamento tra i due fattori, resta però ora da dimostrare il rapporto di causa-effetto tra di essi.

 

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Scritto da Andrea Salvadori | Blogger

Amo la musica, i viaggi e scrivere. La prima potrebbe farmi compagnia 24 ore al giorno, i viaggi sono il mio modo per rigenerarmi e imparare, la scrittura il mezzo per esprimermi in modo ordinato e fermare il tempo.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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