Villocentesi e amniocentesi: tutti i rischi per mamma e bambino

Redazione

Ultimo aggiornamento – 14 Aprile, 2020

Amniocentesi e villocentesi in gravidanza

Test diagnostici in gravidanza: quali sono?

Durante la gravidanza, la paziente può decidere di sottoporsi a test diagnostici per valutare l’eventuale presenza di anomalie cromosomiche nel feto.

Fino ad alcuni anni fa, l’unica possibilità per eseguire analisi cromosomiche sul feto richiedeva l’esecuzione di esami invasivi (che richiedono prelievi di materiale dall’interno dell’utero): principalmente villocentesi e amniocentesi.

La villocentesi o prelievo dei villi coriali (CVS) è un test diagnostico prenatale per l’identificazione di anomalie cromosomiche e altre malattie genetiche ereditarie. Consiste nell’asportazione di una piccola quantità di tessuto della placenta, nella regione coriale, dove si trovano in contatto cellule materne e fetali.

Poiché il test è invasivo, esso può comportare dei rischi sia per la madre sia per il feto. La villocentesi può essere effettuata presto, tra la 10° e la 13° settimana di gravidanza.

Il test è consigliato quando:

  • uno dei genitori ha una storia medica familiare che rivela potenziali rischi di malattie cromosomiche;
  • la mamma ha una età superiore a 35 anni;
  • si sono avuti risultati positivi dei test di screening;
  • si ha una Nuchal Translucency (NT) elevata;
  • si sono individuate malformazioni fetali all’ecografia;
  • si è verificata in precedenza una aneuplodia fetale.

Che cosa può rilevare una villocentesi?

Questo tipo di esame è in grado di diagnosticare:

Il test ha sì un altissimo livello di sensibilità nel diagnosticare queste condizioni (98-99%); salvo il caso di alcune specifiche patologie, però, il riconoscimento della alterazione genetica non permette di prevedere la gravità dei disturbi che il nascituro potrebbe presentare. La villocentesi, inoltre, può confermare con una certezza del 99% la paternità del feto.

Villocentesi: ecco cosa aspettarsi 

Lo scopo di questo esame è ottenere un piccolo campione di tessuto dalla placenta, da inviare poi al laboratorio per le analisi. Esistono due procedure di prelievo per raccogliere i campioni da esaminare:

  • transvaginale: un sottile catetere a ultrasuoni passa attraverso il collo dell’utero fino alla placenta; le cellule dei villi coriali vengono quindi aspirate nel catetere.
  • transaddominale: un lungo e sottile ago ecografico viene inserito nella placenta attraverso l’addome, assorbe un campione di tessuto e viene poi rimosso.

Le procedure possono provocare un po’ di fastidio o dolore, ma sono comunque di breve durata. In entrambi i casi, il sacco amniotico in cui il feto sta crescendo non viene toccato.

Dopo il test, il medico monitora la frequenza cardiaca del feto per appurare che sia tutto nella norma. È importante, inoltre, che la madre eviti rapporti sessuali e attività faticose per circa una settimana. La villocentesi raccoglie campioni più grandi e fornisce risultati più rapidi rispetto all’amniocentesi. I risultati vengono ricevuti al massimo entro sette giorni dal test.

Esiste l’1% di probabilità di avere risultati falsi positivi (il test indica che il feto ha un’anomalia, quando in realtà non è così).

Villocentesi: quali sono i rischi? 

La villocentesi può comportare alcuni rischi, tra cui:

  • aborto spontaneo: il rischio è basso (circa l’1%), ma potrebbe aumentare se il feto è più piccolo del normale rispetto all’età gestazionale;
  • contaminazione del sangue: alcune cellule del sangue del feto possono venire a contatto con cellule sanguigne materne; ciò comporta una contaminazione che può provocare la produzione di anticorpi Rh che attraverso la placenta danneggiano i globuli rossi del feto;
  • infezioni: raramente può innescarsi un’infezione uterina;
  • anomalo sanguinamento vaginale;
  • crampi e dolori addominali;
  • perdita di liquido amniotico;
  • febbre.

Prima di sottoporsi all’esame, è importante discutere con il proprio medico a proposito dei rischi e dei benefici che il test comporta.

Che cosa è, invece, l’amniocentesi? 

Un altro esame diagnostico considerato invasivo è l’amniocentesi.

Durante la gravidanza il feto è immerso nel liquido amniotico, un liquido acquoso che contiene cellule fetali e altre sostanze che forniscono informazioni importanti sulla salute del feto. L’amniocentesi è un test prenatale in cui una piccola quantità di liquido amniotico viene rimossa dal sacco membranoso in cui si trova il feto per verificare eventuali disturbi genetici del futuro bambino. La procedura di solito è prevista tra la 15° e la 18° settimana della gravidanza.

Che cosa può rilevare una amniocentesi? 

Questo tipo di esame è in grado di diagnosticare:

  • sindrome di Down
  • anemia falciforme
  • fibrosi cistica
  • distrofia muscolare
  • difetti del tubo neurale (cervello e colonna vertebrale non si sviluppano correttamente)
  • il sesso del feto

L’amniocentesi presenta piccoli rischi sia per la madre sia per il feto, il test prenatale è generalmente consigliato solo a donne che hanno un significativo rischio di malattie genetiche. La sensibilità dell’amniocentesi è di circa il 99,4%.

Amniocentesi: ecco cosa aspettarsi

Sotto la guida ecografica, un ago sottile è inserito nell’utero attraverso l’addome e raggiunge il sacco amniotico, dove viene rimosso un piccolo campione di liquido amniotico.

Il fluido viene quindi inviato a un laboratorio per le analisi.

Dopo un’amniocentesi, si consiglia di evitare attività faticose e rapporti sessuali almeno per un giorno. Poi è possibile riprendere tutte le normali attività quotidiane. I risultati dell’amniocentesi sono generalmente disponibili entro 2-3 settimane dall’esame.

Amniocentesi e rischi 

L’amniocentesi può comportare alcuni rischi, tra cui:

  • perdita di liquido amniotico: occorrenza rara e la quantità di fluido perso è minima;
  • aborto spontaneo: il rischio è minimo (circa 0,6%) dopo la quindicesima settimana, ma è più alto nelle fasi precedenti. Questo è il motivo per cui l’amniocentesi è sconsigliata prima della 15a settimana;
  • lesioni da ago: il feto, muovendosi, potrebbe ferirsi con l’ago utilizzato durante il test;
  • contaminazione del sangue: alcune cellule del sangue del feto possono venire a contatto con cellule sanguigne materne; ciò comporta una contaminazione che può provocare la produzione di anticorpi Rh che attraverso la placenta danneggiano i globuli rossi del feto;
  • infezioni: raramente può innescarsi un’infezione uterina;
  • trasmissione di infezioni: se la madre soffre di epatite C o HIV/AIDS, l’infezione potrebbe trasmettersi anche al feto durante il test;
  • anomalo sanguinamento vaginale;
  • febbre;
  • dolori addominali.

Come decidere tra villocentesi o amniocentesi?

Entrambi i test possono fornire indicazioni su eventuali disturbi genetici o cromosomici del feto.

La villocentesi può essere eseguita prima, ma d’altra parte si potrebbe voler aspettare i risultati di rilevamenti compiuti nel secondo trimestre della gravidanza, prima di effettuare un test invasivo. Se si decide di aspettare, le possibilità di scelta si riducono alla amniocentesi o a test di screening del DNA non invasivi. La villocentesi comporta un rischio di aborto spontaneo leggermente maggiore dell’amniocentesi.

In ogni caso, prima di prendere una decisione è consigliabile parlare in modo approfondito sia con il proprio medico sia con il partner e considerare la disponibilità e il crescente livello di affidabilità di test di screening del DNA fetale non invasivi e sicuri per mamma e bambino.

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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