Lo sostiene il dr. Mark Griffith, docente di patologia del gioco alla Trent University di Nottingham, Inghilterra, che è una vera autorità nel suo campo, essendo anche direttore dell’unità di ricerca internazionale sul gioco patologico e compulsivo.
In un articolo pubblicato da The Conversation, un periodico scientifico inglese on-line, il dr. Griffith va contro le comuni credenze in fatto di videogiochi, esponendo i risultati di diverse ricerche.
Perché i videogames fanno bene
“Come è stato nel passato per la televisione o il rock’n’roll”, sostiene il dr. Griffith, “i mali associati all’uso dei videogames, come l’obesità o le lesioni da sforzo, la presunta maggiore aggressività e la dipendenza, sono più un frutto della distorsione dei mass-media che reali motivi di preoccupazione”.
Al contrario, secondo il Griffith, i vantaggi che offrono i videogames sono molti e oggi siamo in presenza di numerose ricerche che dimostrano che i videogiochi possono essere utilizzati a fini educativi e terapeutici, così come molti altri studi rivelano come i videogiochi siano in grado di migliorare i tempi di reazione e la capacità di coordinare la vista e i movimenti delle mani.
Ad esempio, la ricerca ha dimostrato che la capacità di visualizzazione spaziale e la manipolazione di oggetti tridimensionali migliorano con l’uso dei videogames.
Gli ultimi studi
Da aggiungere alla serie di studi che dimostrano gli effetti più positivi che negativi dei videogiochi, è un nuovo lavoro presentato dalla National Academy of Sciences, a opera di un team guidato dal prof. Vikranth Bejjanki.
Il loro lavoro, pubblicato di recente, dimostra che i videogiochi d’azione – quelli maggiormente sotto accusa da parte dei detrattori – rendono giocatori abituali più abili, aumentano la loro percezione, l’attenzione e la capacità di apprendere.
Lo studio si è basato su una serie di test effettuati su diverse batterie composte da un piccolo numero di giocatori (da 10 a 14 persone per squadra). I ricercatori hanno riferito che i giocatori con precedenti esperienze di gioco con questi videogames dimostravano migliori performance percettivo-cognitive, rispetto a giocatori con meno esperienza.
Un successivo esperimento è stato effettuato addestrando giocatori con minori capacità ed esperienza in giochi d’azione, con un corso pratico di 50 ore. Si è visto che, anche in questi soggetti, le performance cognitivo percettive erano migliorate dopo l’addestramento.
Le conclusioni dei ricercatori sono state che l’apprendimento potenziato delle tecniche di gioco può agire come un meccanismo di base attraverso il quale il videogioco d’azione influenza positivamente le prestazioni nella percezione, nell’attenzione, e la cognizione.
Il dr. Griffith suggerisce che un uso mirato dei videogames potrebbe rivelarsi molto utile non solo in campo educativo, dove verrebbe accolto senz’altro con più entusiasmo e attenzione dei sistemi tradizionali di learning, ma anche in molti altri settori, come quello della medicina riabilitativa, come pratica fisioterapica, anche tenendo presente che un altro vantaggio dei videogiochi è che non hanno controindicazioni ambientali, basate sull’età, la provenienza geografica, l’istruzione precedente.
Naturalmente anche il dr. Griffith mette in guardia contro i pericoli derivanti da un uso smodato dei videogames. Ma questo è un problema che interessa praticamente ogni tipo di attività umana, se effettuata in modo esagerato.