Quando si parla di artrite reumatoide, una patologia autoimmune che colpisce circa 400.000 italiani, parlare di cure, perlopiù risolutive, può essere davvero azzardato.
Passi avanti, però, vengono fatti ogni giorno. Grazie a un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine, al quale hanno collaborato ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Università di Glasgow e del consorzio britannico RACE, si stanno aprendo nuove prospettive per trattare i pazienti interessati da questa condizione.
Cerchiamo di capirne di più.
L’artrite reumatoide: quali sono le terapie più moderne
L’artrite reumatoide (Rheumatoid Arthritis, RA) è la malattia infiammatoria cronica ad eziologia autoimmune che colpisce le articolazioni più comune. Purtroppo, però, è anche la più grave.
Esistono diverse soluzioni terapeutiche per il suo trattamento ma nessuna di esse è risolutiva.
Oltre agli anti-infiammatori tradizionali, steroidei e non steroidei, i pazienti possono contare ormai da qualche anno sui potentissimi farmaci biologici, ovvero anticorpi monoclonali anti-TNF (Tumor Necrosiss Factor, Fattore di Necrosi Tumorale) ed anti-IL-6R (Interleukin-6 Receptor, Recettore dell’Interleuchina 6), diretti contro quelle molecole proinfiammatorie che contribuiscono a danneggiare i tessuti delle articolazioni. A questi si aggiungono soluzioni farmacologiche che mirano ad interferire coi meccanismi molecolari che portano alla sintesi di queste molecole pro-infiammatorie: come i farmaci di sintesi inibitori delle JAK-chinasi.
Lo studio sul ruolo dei macrofagi nei pazienti con artrite reumatoide
Nonostante le opzioni terapeutiche, circa il 40% dei pazienti non risponde ad alcuna terapia, mentre altri individui vanno incontro spontaneamente alla remissione della sintomatologia.
Proprio sullo studio delle caratteristiche di quest'ultimi soggetti si è concentrata la ricerca guidata dal dr. Stefano Alivernini che ha approfondito il ruolo dei macrofagi, cellule residenti nel tessuto articolare e nella sinovia con i fibroblasti, che svolgono un ruolo fondamentale nel regolare l’infiammazione in tutte le fasi della malattia.
È emerso che esistono due diverse sottopopolazioni di macrofagi con azioni opposte la cui predominanza varia a seconda della fase di malattia in cui si trova il paziente con artrite reumatoide.
In dettaglio, nella fase acuta dell’infiammazione, nel tessuto sinoviale predominano i macrofagi MerTK negativi (ovvero che non esprimono il recettore MerTK) che promuovono la secrezione di citochine pro-infiammatorie che sostengono i processi flogotici articolari, i macrofagi cosiddetti “piromani”, mentre nella fase di remissione predominano i macrofagi che esprimono il recettore MerTK che sono in grado, al contrario, di agire negativamente sull’infiammazione, assimilabili per questo ai macrofagi “pompieri”.
I pazienti che, nonostante la sospensione dei farmaci, rimangono nella fase di remissione sono quelli con il maggior numero di cellule MerTK positive; al contrario, i pazienti che recidivano, hanno un alto numero di cellule MerTK negative. In particolare, se nella sinovia dei pazienti in remissione clinica la percentuale dei macrofagi anti-infiammatori è inferiore al 50% del totale, il rischio di avere una recidiva alla sospensione del farmaco aumenta di 13 volte mentre se il rapporto tra macrofagi MerTK positivi e MerTK negativi è inferiore a 2,5 volte, alla sospensione del farmaco il rischio di recidiva aumenta di 16 volte.
Quindi, il delicato equilibrio tra macrofagi pro-infiammatori ed anti-infiammatori, insieme ai fibroblasti residenti nella membrana sinoviale che riveste le articolazioni, sarebbe una componente fondamentale alla base dei processi infiammatori responsabili dell’artrite reumatoide.
Quali sono le prospettive future
Si tratta di una scoperta molto importante, che potrebbe portare allo sviluppo di nuove terapie per l’artrite reumatoide, se non addirittura a una cura definitiva per questa condizione profondamente invalidante. Non solo: lo studio, infatti, potrebbe aprire la strada a trattamenti di medicina personalizzata e di precisione nel campo delle malattie autoimmuni.