Varicocele pelvico: come si manifesta e cosa è

Dr. Claudio Cimminiello

Ultimo aggiornamento – 07 Gennaio, 2021

Varicocele pelvico: sintomi e cause

In collaborazione con  SIAPAV - Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare .

Intervista al dr. Mauro Pinelli, socio SIAPAV e specialista in angiologia medica. 


Parliamo di varicocele pelvico, un’anomala dilatazione delle vene localizzate nell’area pelvica, che si manifesta a causa di un ristagno di sangue nei vasi venosi. La patologia è spesso poco conosciuta e sottovalutata, poiché i sintomi non sono sempre prontamente identificati.

Cerchiamo di capire quali sono le cause e come trattare il disturbo, rivolgendo alcune domande al dr. Mauro Pinelli, angiologo. 

Cosa è il varicocele pelvico? 

Il varicocele pelvico è una dilatazione varicosa dei plessi venosi che drenano le vene dell’utero, delle ovaie e della vagina. Questa dilatazione è determinata da un sovraccarico di flusso alimentato il più delle volte dalla vena ovarica sinistra, flusso che percorre la vena in senso opposto a quello fisiologico, a causa dell’incontinenza valvolare. 

Dobbiamo subito precisare che circa il 90% delle donne che hanno avuto delle gravidanze ha varici pelviche, quasi sempre asintomatiche e che il più delle volte costituiscono una condizione benigna. La diagnosi è, dunque, spesso occasionale e viene fatta nel corso di una visita ginecologica di controllo, mediante ecografia. 

Quali sono i sintomi del varicocele pelvico e perché non è sempre semplice identificarli? 

La difficoltà diagnostica deriva dal fatto che i sintomi del varicocele pelvico sono “aspecifici”, cioè comuni ad altre patologie perché sono costituiti da un dolore pelvico cronico che dura da più di sei mesi e non ha una fasicità correlata al ciclo mestruale o ai rapporti sessuali. 

Le possibili cause del dolore pelvico cronico sono molteplici. Dobbiamo considerare che esistono varie patologie viscerali che possono provocarlo come, per esempio, affezioni della vescica come la cistite interstiziale, affezioni intestinali, come la stipsi, il colon irritabile, le alterazioni della flora batterica intestinale, cause ginecologiche diverse dal varicocele pelvico ad esempio, in primo luogo, l’endometriosi, oppure le lacerazioni dei legamenti larghi dell’utero derivanti da traumi ostetrici.

In definitiva, la vera e propria sindrome da congestione pelvica è piuttosto infrequente, ma tuttavia dobbiamo prenderla in considerazione. Essa si manifesta con un dolore al basso ventre che dura da almeno sei mesi e che si aggrava con lo stare in piedi a lungo, i rapporti sessuali e il ciclo mestruale.  

La diagnosi può essere posta solo dopo aver escluso le altre cause.  

Quali sono i fattori di rischio? 

In primis, la familiarità che costituisce una condizione predisponente per tutti i tipi di vene varicose e, quindi, anche per il varicocele. Le gravidanze sono certamente un fattore di rischio importante, tanto è vero che il varicocele pelvico si presenta soprattutto nelle donne pluripare

Il sovrappeso o l’obesità determinano una stasi venosa, poiché ostacolano il deflusso delle vene addominali con ripercussioni anche a livello delle vene degli arti inferiori.  Inoltre, sono da valutare le attività lavorative che comportano lo stare in piedi a lungo; come per le varici delle gambe, l’ortostatismo prolungato è infatti un fattore di rischio non trascurabile.

Ultimo, non per importanza, lo stile di vita sedentario.  

Cosa fare in questi casi? 

Cosa non fare, per prima cosa: 

  • Non trattare il varicocele pelvico, se non si hanno tutti gli elementi che consentono di imputare ad esso il dolore pelvico cronico che, come si diceva, il più delle volte riconosce cause diverse da ricercare in collaborazione con gli altri specialisti coinvolti . 
  • Non trattare il varicocele pelvico al solo scopo di curare le varici degli arti inferiori ad esso riconducibili. Nell’ambito della popolazione femminile affetta da insufficienza venosa degli arti inferiori, circa il 10% presenta varici in varia misura correlate alla malattia venosa pelvica; tuttavia la cura del varicocele pelvico non giova in modo significativo al loro trattamento. 
  • Non distruggere la safena, che nel caso di varici alimentate da malattia venosa pelvica è quasi sempre innocente o solo parzialmente coinvolta, in quanto vittima di un sovraccarico di flusso ematico alimentato da varici che sono visibili in sede inguinale e perineale, coinvolgendo spesso i genitali esterni. 

Infine, parlando in positivo, il varicocele pelvico è da trattare nei pochi casi in cui il dolore pelvico cronico può essere con una ragionevole certezza ad esso attribuito, avendo escluso le altre possibili cause. Il trattamento è rappresentato nella gran parte dei casi dalla scleroembolizzazione della vena ovarica coinvolta e dei plessi venosi dilatati. Si tratta di un trattamento endovascolare effettuato dal radiologo vascolare interventista, mediante cateterismo venoso in anestesia locale e in regime di day hospital. I risultati sono molto buoni se le indicazioni sono corrette. 

Bisogna curare le varici degli arti inferiori causate dal varicocele pelvico solo dopo un’accurata valutazione angiologica clinica e strumentale, mediante esame eco color doppler. La terapia dovrà partire dalla soppressione dei cosiddetti “punti di fuga” attraverso i quali le varici pelviche comunicano con le varici delle gambe. L’armamentario terapeutico si avvale in questo caso sia della  terapia sclerosante  che della chirurgia. Entrambi i metodi agiscono attraverso gesti selettivi e mirati sulla base dell’indagine ecocolordoppler .

Giova sottolineare che, per quanto corrette siano state la diagnosi e la terapia, ulteriori gravidanze esporranno la donna a un’elevata probabilità di recidiva.  

Dr. Claudio Cimminiello
Scritto da Dr. Claudio Cimminiello

Ematologo e Direttore Centro Ricerche e Studi SIAPAV.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
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