Milioni di persone in tutto il mondo hanno ormai ricevuto il così tanto atteso vaccino contro il SARS-CoV-2, utile a proteggerci dal COVID-19, ma numerose questioni riguardo all’efficacia di tali farmaci rimangono ancora da valutare.
Una domanda che molti si pongono è se esista una relazione tra gli effetti collaterali post-vaccino e l’efficacia dello stesso, con conseguente generazione di immunità sierica (anticorpi neutralizzanti anti-proteina Spike) e cellulare (plamacellule o cellule della memoria).
Ad oggi, sono stati approvati ed autorizzati un totale di 21 vaccini anti-COVID-19 in tutto il mondo: in Italia alla data del 6 agosto risultano completamente vaccinati un totale di più di 34 milioni di persone over 12 anni, pari al 63% della popolazione idonea al trattamento (Governo Italiano - Report Vaccini Anti Covid-19), nel Regno Unito più di 36 milioni di persone si sono sottoposte al trattamento e negli Stati Uniti più di 162 milioni di persone hanno ricevuto il siero anti SARS-CoV-2.
Gli organismi di controllo per sicurezza dei farmaci come i Centers for Disease Control and Prevention americani, piuttosto che gli omologhi europei, European Centre for Disease Prevention and Control, stanno monitorando la sicurezza di tutti i vaccini ed i governi di tutti i paesi stanno incoraggiando la popolazione a vaccinarsi il prima possibile ed a segnalare ogni tipo di effetto collaterale o indesiderato avvenuto dopo la somministrazione.
Gli effetti collaterali più comuni registrati sono dolore ed arrossamento della sede di iniezione piuttosto che febbre, mal di testa, stanchezza e letargia, dolore muscolare, brividi e nausea.
Come nel caso di altri vaccini, anche nel caso di quelli anti-COVID-19, non tutte le persone reagiscono allo stesso modo tanto che molte non hanno notato nessun effetto collaterale dopo la somministrazione. Questo significa che saranno comunque protette dal virus SARS-CoV-2?
Esiste una correlazione tra sviluppo di effetti collaterali ed efficacia del vaccino?
In un’intervista rilasciata al Medical News Today, William Schaffner, medico e professore di malattie infettive al Vanderbilt University Medical Center di Nashville, ha parlato della relazione tra effetti indesiderati del vaccino e protezione dalla malattia. Ha affermato che non esiste una relazione diretta tra l’assenza di reazioni collaterali ed efficacia del vaccino e quindi protezione da forme gravi di COVID-19. In particolare, nel caso dei vaccini da mRNA (BioNTech-Pfitzer e Moderna), l’efficacia nel proteggere da tali forme di COVID-19 è di oltre il 90% e solo in meno del 10% dei vaccinati si è registrata una parziale o nulla protezione (mancata risposta anticorpale).
In dettaglio, essendo i vaccini degli attivatori del sistema immunitario, è noto che persone con problematiche di immuno-compromissione abbiano una scarsa-assente risposta ai sieri, compreso quello anti-SARS-CoV-2.
Inoltre, trattamenti con farmaci come immunosoppressori o chemioterapici possono influire negativamente sullo sviluppo dell’immunità successiva alla vaccinazione.
Dopo il vaccino, cosa ci possono raccontare gli anticorpi?
Alcuni ricercatori hanno suggerito che una valutazione del titolo anticorpale sviluppato successivamente al vaccino possa essere indicativo della protezione contro il virus anche se la Food and Drug Administartion ha espresso parere negativo verso l’utilità di questi test sierologici nel contesto di post-vaccinazione.
Infatti, anche se ragionevolmente la presenza di anticorpi anti-proteina spike di SARS-CoV-2 potrebbe essere messa in relazione alla protezione dalla malattia COVID-19 grave, non è comunque detto che una persona non possa sviluppare la malattia.
La preoccupazione di FDA risiede infatti nell’atteggiamento rilassato che le persone potrebbero assumere dopo un test sierologico positivo e che quindi verrebbero meno alle precauzioni fino ad oggi adottate, come mascherina, igiene delle mani e distanziamento.
La dottoressa Elitza S. Theel, direttore del laboratorio di Malattie Infettive alla Mayo Clinic di Rochester afferma che occorre inoltre tenere conto che i test sierologici che abbiamo a disposizione per la COVID-19 sono molto diversi tra loro, prendono in esame target diversi ed hanno performance differenti e non sono tra loro comparabili. L’informazione che forniscono riguarda lo sviluppo da parte dell’individuo di una risposta immunitaria contro il virus, oppure di un mancato sviluppo di risposta immunitaria, ma non danno alcuna informazione sulla possibilità di infettarsi (o ri-infettarsi).
La dottoressa Theel sottolinea che, ad ora, i casi di COVID-19 registrati negli USA sono occorsi in persone non vaccinate: fatto molto frustrante e demotivante in quanto, con il vaccino si sarebbero benissimo potuti prevenire o comunque ridurre.