Un'importante scoperta nel campo della medicina potrebbe rivoluzionare la diagnosi e il trattamento del morbo di Parkinson, una malattia neurodegenerativa che secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) colpisce circa 10 milioni di persone nel mondo.
Un team di ricercatori internazionali ha infatti sviluppato un innovativo esame del sangue in grado di rilevare la malattia fino a 7 anni prima della comparsa dei sintomi motori, come tremori, rigidità e difficoltà a camminare.
Vediamo di seguito in cosa consiste.
Come funziona il test?
L’analisi viene effettuata utilizzando tecniche di machine learning, un'intelligenza artificiale in grado di identificare pattern specifici nei dati.
Attraverso un semplice prelievo del sangue si possono identificare otto biomarcatori che permettono di diagnosticare la malattia con una precisione del 100%, anche in fase pre-sintomatica.
Inizialmente gli scienziati si sono concentrati su pazienti già affetti da Parkinson conclamato: analizzando i loro campioni ematici hanno individuato i famosi otto biomarcatori, ottenendo una conferma diagnostica certa.
Successivamente, hanno testato l'utilità dei biomarcatori per la predizione della malattia, includendo nel testing pazienti senza sintomi motori, ma con disturbo del comportamento dei movimenti oculari rapidi (iRBD), una condizione caratterizzata da movimenti oculari rapidi e comportamenti complessi che si verificano durante il sonno REM (solitamente la paralisi dei muscoli volontari), spesso considerata anticipatoria del Parkinson.
La ricerca, durata dieci anni, ha monitorato i 16 partecipanti sottoponendoli regolarmente a prelievi e l'analisi di questi campioni ha permesso di identificare con assoluta precisione chi avrebbe sviluppato la malattia neurodegenerativa, ben 7 anni prima della comparsa dei sintomi motori.
Lo sviluppo di questo nuovo esame del sangue rappresenta un traguardo significativo nella lotta contro il morbo di Parkinson: tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per validare il test su un campione di popolazione più ampio e per determinarne l'accuratezza e l'affidabilità.
Come sottolineato dal professor Michael Bartl, coordinatore dello studio, "la possibilità di individuare potenziali pazienti con anni di anticipo apre la strada a somministrare farmaci in una fase precoce, rallentando o addirittura prevenendo la progressione della malattia."
Il professor Kevin Mills, altro protagonista della ricerca, ha espresso ambiziosi obiettivi per il futuro, sottolineando l'importanza della presenza di trattamenti sperimentali prima che i pazienti sviluppino sintomi: "Con adeguati finanziamenti, potremmo rendere questo test disponibile entro due anni".
Ecco le nuove prospettive di prevenzione e cura dopo la scoperta
Questa scoperta si inserisce in un panorama in continua evoluzione nella ricerca sul Parkinson.
Recentemente, infatti, uno studio ha dimostrato i benefici del trapianto di feci per migliorare i sintomi della malattia, mentre un altro ha ipotizzato che Parkinson e Alzheimer potrebbero essere due manifestazioni della stessa patologia.
La diagnosi precoce del Parkinson è fondamentale per poter intervenire con le terapie in modo tempestivo e più efficace. Purtroppo, infatti, ad oggi l'identificazione avviene solitamente quando i sintomi motori sono già presenti, quando la malattia ha già iniziato a progredire.
Rilevare la malattia in una fase pre-sintomatica offre diverse potenziali opportunità:
- sperimentare nuovi farmaci e terapie: la diagnosi precoce permette di testare nuovi trattamenti in una fase in cui la malattia è meno avanzata, aumentando le possibilità di successo;
- sviluppare strategie di prevenzione: la conoscenza dei meccanismi che causano il Parkinson in una fase precoce potrebbe portare allo sviluppo di interventi preventivi per ridurre il rischio di sviluppare la malattia;
- migliorare la qualità della vita dei pazienti: una diagnosi precoce permette ai pazienti di prepararsi meglio alla malattia e di ricevere il supporto adeguato, migliorando la loro qualità di vita;
- sostituire i prelievi lombari di liquido cerebrospinale, una procedura invasiva e fastidiosa per i pazienti: questo renderebbe la diagnosi del Parkinson più accessibile e meno gravosa per i pazienti.