Tornare indietro nel tempo e ringiovanire? Pare sia possibile… almeno per il nostro cervello! Questo è quanto è emerso da una recente ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Aging Cell, alla quale hanno collaborato i ricercatori delle Università di Padova, della Statale di Milano, di Dusseldorf e di Portsmouth.
Tale studio ha permesso di ricostruire, grazie a moderne tecniche bioinformatiche, le cause dell’invecchiamento cerebrale, identificando la mielina e il recettore GPR17 come bersagli primari delle alterazioni associate all’invecchiamento, ponendo così le basi per futuri studi di “ringiovanimento” delle cellule produttrici di mielina.
Materia grigia, materia bianca e mielina
La materia grigia, a cui generalmente ci riferiamo quando parliamo di cervello e intelligenza, rappresenta la porzione dell’encefalo formata dal corpo dei neuroni, detto soma, e dai dendriti.
La materia bianca, meno famosa della sua controparte, è, invece, la porzione sottostante alla materia grigia ed è composta dagli assoni, ovvero le estroflessioni dei neuroni che fungono da veri e propri cavi elettrici, connettendo le varie parti del cervello. Gli assoni sono ricoperti da una sostanza chiamata mielina che funziona come un isolante che, in maniera analoga alla plastica dei cavi elettrici, ha il compito di isolare gli assoni e, quindi, di facilitare la trasmissione di informazioni, che avviene sotto forma di impulsi elettrici, attraverso di essi.
In termini molto semplici, si può affermare che dove c'è la mielina, il tessuto nervoso appare biancastro e si parla quindi di sostanza bianca mentre, dove non c'è mielina, il tessuto nervoso appare grigiastro e ci si riferisce ad esso come sostanza grigia.
Ma cos’è la mielina?
Essa è una sostanza prodotta da cellule cerebrali specializzate chiamate oligodendrociti; possiede una struttura lamellare ed è costituita in prevalenza da lipidi (80%) e da proteine (20%). Si presenta di colore biancastro e riveste esternamente gli assoni dei neuroni sia in modo semplice, formando un monostrato, oppure in modo composto, ovvero con vari strati concentrici che danno origine a una sorta di guaina o manicotto.
Una carenza o una alterazione della mielina ha effetti devastanti sull’attività cerebrale: ne sono esempi le malattie neurodegenerative come la Sclerosi Multipla, l’Alzheimer e la demenza senile.
Lo studio
L’innovativa ricerca ha visto la comparazione del genoma del cervello di topi giovani rispetto a quello di topi anziani, in modo da identificare quali processi si alterino durante il processo di invecchiamento.
Sofisticate tecniche di analisi hanno così permesso di dimostrare come la diminuzione degli oligodendrociti nel cervello dell’anziano sia legata a una perdita di cellule staminali cerebrali, chiamate oligodendrociti precursori, ovvero le cellule progenitrici degli oligodendrociti, che risultano essenziali per il ripopolamento degli oligodendrociti e per la sintesi della mielina.
Inoltre, è stato possibili identificare il gene GPR17 come il gene maggiormente alterato nel cervello anziano. La perdita di GPR17 riduce, infatti, la capacità degli oligodendrociti precursori di ripristinare la materia bianca persa.
È stato notato, inoltre, che l'invecchiamento cerebrale determina in prima battuta una perdita di materia bianca e, solo successivamente, una perdita di materia grigia, che ricordiamo essere formata dai corpi dei neuroni e dai dendriti.
Lo studio rileva che nell'anziano la funzionalità dei neuroni viene alterata per un calo drastico della mielina e degli oligodendrociti che la producono.
Con l’ausilio di moderne tecniche bioinformatiche, quindi con un’analisi di farmacogenomica in silicio, sono stati identificati nuovi composti che possano ringiovanire gli oligodendrociti precursori ed è stato dimostrato come uno di questi, LY-294002, sia in grado di contrastare la perdita di materia bianca causata dal processo di invecchiamento.
Prospettive future sull'invecchiamento cerebrale
Questo studio apre diversi scenari per future indagini che riguardano i meccanismi cellulari coinvolti nella perdita della plasticità neuronale dovuta ad alterazioni della glia e sottolinea l’importanza dei tool bioinformatici per lo studio delle malattie neurodegenerative.