Una domanda che molti, negli ultimi mesi, si sono posti sulla scia della polemica riguardante la possibile cancerogenicità dell’olio.
Per fare un po’ di chiarezza e sfatare quei falsi miti che confondono le idee ai consumatori, l’Unione Italiana Olio di Palma ha chiamato tre specialisti a parlare dell’argomento, lo scorso 14 luglio a Milano.
Giuseppe Allocca, presidente dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, Giorgio Donegani, tecnologo alimentare e divulgatore scientifico, e Carlo Alberto Pratesi, professore di economia dell’Università Roma Tre, hanno partecipato all’incontro, rispondendo alle domande più frequenti sull’olio di palma e ribadendo come questo sia l’olio vegetale più utilizzato al mondo. Solo in Italia, infatti, nel 2015 ne sono state importate 386mila tonnellate per usi alimentari.
Vediamo, ora, le risposte che il dr. Giorgio Donegani ha dato a Pazienti.it, sperando di aiutare i lettori a chiarire ogni dubbio su questo prodotto.
Come si ottiene l’olio di palma?
L’olio di palma si ricava dalla polpa del frutto della palma da olio. Dopo la raccolta, i frutti vengono sterilizzati con vapore, denocciolati (il nocciolo che si chiama palmisto è materia prima per produrre l’olio di palmisto, che ha caratteristiche diverse da quello di palma), quindi vengono pressati e filtrati in modo da estrarre l’olio.
Si tratta di un procedimento naturale, che non richiede uso di solventi. L’olio di palma grezzo che si ottiene dalla spremitura ha un colore rosso scuro, perché contiene un’altissima quantità di carotenoidi antiossidanti, e viene destinato al consumo diretto, ma non si presta alle esigenze dell’industria proprio per il suo colore intenso e per il suo sapore caratteristico.
Per questo, si sottopone a un processo di raffinazione che lo rende neutro sotto il profilo del gusto (in modo da non coprire il sapore degli ingredienti cui viene aggiunto), ne toglie i pigmenti coloranti e aumenta la stabilità del prodotto. Una volta raffinato, l’olio di palma può essere sottoposto a ulteriori procedimenti di trasformazione a seconda dell’uso cui viene destinato.
Particolarmente importante per il settore alimentare è il frazionamento, che consiste nel separare per cristallizzazione la frazione più fluida (oleina) da quella solida (stearina), diverse nella resa secondo l’impiego: frittura, impasti morbidi o croccanti, creme ecc.
In quali alimenti si trova e in che percentuali?
I grassi sono ingredienti comuni di moltissimi prodotti alimentari e date le caratteristiche positive dell’olio di palma sul piano della versatilità, dell’economicità (legata alla grande resa che permette di abbassare i costi), della stabilità alle temperature e all’ossidazione (che permette di prolungare la vita dei prodotti riducendo li sprechi) e dell’ottima lavorabilità, l’olio di palma ha finito per essere preferito agli altri grassi in una quantità di lavorazioni.
Di qui la sua presenza in varie categorie di prodotto, tra le principali:
- i prodotti da forno sostitutivi del pane (fette biscottate, grissini, cracker);
- i dolci (biscotti, crostate, “merendine”, alcuni gelati);
- diverse salse.
Non è corretto però affermare che l’olio di palma “c’è dappertutto”: si trova dove l’industria ha ritenuto che usarlo come sostituto di altri grassi portasse a migliori risultati.
Un capitolo particolare è quello degli alimenti per la prima infanzia e in particolare dei latti, dove l’olio di palma viene aggiunto per garantire una giusta quota di acido palmitico, che è una componente naturale del latte materno, e rendere quindi i prodotti più adatti alle necessità dei neonati.
Quanto alle percentuali, la legge sull’etichettatura alimentare non obbliga a indicare la percentuale dei diversi ingredienti utilizzati, ma prescrive di riportarli in ordine decrescente di quantità. Non è difficile quindi farsi un’idea di quanto olio di palma ci possa essere in un certo prodotto semplicemente osservando il posto che occupa nell’elenco degli ingredienti. Ci si accorgerà spesso anche di un fatto poco noto: nella maggior parte dei prodotti l’olio di palma non è l’unico grasso presente, ma viene aggiunto in modo da migliorare le caratteristiche degli altri grassi utilizzati.
Un’indicazione più importante viene comunque dalla lettura dell’etichetta nutrizionale sulla quale è obbligatorio indicare la quantità totale dei grassi e quella dei grassi saturi. È questo il termine di confronto più adeguato quando si vogliano comparare prodotti della stessa categoria ottenuti con grassi diversi.
Quali sono le quantità che possono risultare “pericolose” per la salute?
Come ha ribadito anche l’ISS, nell’olio di palma in quanto tale non sono rilevabili sostanze che possano risultare nocive. È una fonte di grassi saturi, così come lo sono molti altri alimenti, e l’attenzione va posta proprio al contenuto totale di grassi saturi che sono presenti nei prodotti, tenendo conto del tipo di dieta che seguiamo.
Nel complesso, in un’alimentazione bilanciata i grassi saturi dovrebbero dare ogni giorno non più del 10% del totale calorico. Per un individuo medio, questo significa che giornalmente andrebbero introdotti sino a 28 g di acidi grassi saturi. Secondo le stime più accreditate, i grassi saturi che provengono da alimenti potenzialmente contenenti olio di palma si assestano intorno ai 5 g.
Come si vede, più dell’80% dei grassi saturi della nostra dieta proviene da alimenti senza olio di palma e immaginare una quantità di quest’ultimo “pericolosa” per la salute è davvero difficile. È una questione di equilibrio: allo stato attuale dei consumi non c’è alcun pericolo e riducendo il consumo di altri alimenti ricchi di grassi saturi, come i salumi, si può innalzare oltre i livelli normali quello di alimenti con grasso di palma. Ma va da sé che, tanto per fare un esempio, mangiare una decina di merendine nella giornata o una quantità esagerata di salse pone problemi di equilibrio della dieta al di là della quantità di grassi saturi.
È utile sottolineare poi come la nostra dieta attuale non ponga come priorità la riduzione drastica dei grassi saturi, perché il livello di consumo stimato supera solo di poco (11% invece del 10%) quello considerato ideale.
Perché si è temuto potesse essere cancerogeno?
L’Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha presentato di recente un rapporto riguardante gli effetti sulla salute e la possibile presenza nei grassi alimentari di tre contaminanti, denominati 3–MCPD, 2-MCPD e GE.
In particolare, il GE (esteri del glicidolo) è stato indicato come potenzialmente genotossico e cancerogeno. Questi contaminanti si formano nei grassi e negli oli per effetto delle alte temperature raggiunte nelle operazioni di raffinazione, e sono stati riscontrati in quantità variabili nei diversi grassi considerati, con una presenza mediamente maggiore nell’olio di palma. Di qui, le accuse improprie di cancerogenicità di quest’olio. Improprie perché non è l’olio di palma in sé, così come nessun altro degli oli considerati, a essere nocivo: ciò che bisogna evitare è semplicemente che durante la lavorazione si formino queste sostanze perché è la loro presenza eccessiva a poter costituire un rischio per il consumatore.
Per l’industria alimentare, peraltro, EFSA costituisce da sempre un riferimento importante proprio per definire gli obiettivi di progresso che le aziende si devono impegnare a raggiungere, secondo le sempre nuove acquisizioni scientifiche. Non fa notizia e non è stato evidenziato dalla stampa, ma nel suo rapporto EFSA stessa sottolinea come negli ultimi 5 anni la presenza del contaminante GE nell’olio di palma si sia addirittura dimezzata, grazie a una serie di studi e azioni messe volontariamente in atto dalle aziende produttrici. E la ricerca in questo senso prosegue costantemente…