Avete mai sentito parlare del test per la mutazione del gene Brca? La sua rilevanza è duplice: tanto per una diagnosi precoce quanto per la definizione di una strategia terapeutica appropriata sia per il tumore al seno sia per il tumore alle ovaie. Il test che individua la mutazione di uno o di entrambi i geni Brca (1 e 2) può infatti salvare la vita a una donna. Eppure, nonostante questa evidenza, sembra che in Italia questo test non presenti una diffusione capillare.
Soltanto a sei donne su dieci colpite da un cancro alle ovaie viene proposta l’indagine genetica. Mentre appena in un caso su tre questa avviene al momento della diagnosi che, per due ragioni, sembra essere il momento più opportuno per procedere alla ricerca delle mutazioni. Le motivazioni sono due: la prima punta alla scelta della terapia più efficace, la seconda all’approfondimento dell’indagine genetica anche nelle parenti più strette, in modo da implementare i controlli o procedere all’intervento di rimozione dei seni e delle ovaie, come insegna il caso di Angelina Jolie. Vediamo di capirne di più.
Test Jolie, di cosa si tratta
Il test genetico Brca 1 e Brca 2 consiste in un semplice prelievo di sangue. Da questo viene estratto il DNA e sottoposto successivamente a delle indagini molecolari che permettono di individuare la presenza di mutazioni genetiche ereditarie sui geni in questione.
L’esame, però, non diagnostica la presenza del tumore ma, attraverso l’identificazione di specifiche mutazioni del patrimonio genetico, consente di individuare quali donne siano portatrici di tali mutazioni ereditarie, che presentano dunque una maggiore predisposizione alla malattia.
È stato l’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (Onda) a condurre una indagine sul test Brca applicato al tumore ovarico, su un campione di circa cinquanta pazienti. Il risultato che ne emerge, purtroppo, non è del tutto confortante.
Nonostante le raccomandazioni di gran parte delle società scientifiche italiane, infatti, è ancora eccessivamente basso il numero di donne che hanno accesso alla ricerca delle mutazioni dei due geni legate a questa tipologia di tumore.
Test Jolie: chi, quando e perché effettuarlo
Eppure, solo per il 2017 sono previsti circa 5.200 nuovi casi di tumori alle ovaie, un neoplasia particolarmente insidiosa, in quanto si presenta senza sintomi evidenti. La diagnosi, dunque, avviene spesso in fase ormai avanzata, generalmente al quarto stadio. Nonostante ciò, queste forme cancerose hanno una prognosi migliore rispetto ai comuni tumori di analogo grado.
Tuttavia, la ricerca ha fatto notevoli passi nella cura di questa forma di tumore, mettendo a disposizione farmaci innovativi (platino, doxorubicina liposomiale pegilata e trabectedina) capaci di aumentare la sopravvivenza delle pazienti, ma solo in quelle che presentano la mutazione del gene Brca.
Cosa significa? Semplice. Effettuare il test significa avere una possibilità di cura in più. Inoltre, non bisogna dimenticare che la sola presenza della mutazione dei geni Brca1 e Brca2 può favorire l’insorgenza del cancro all’ovaio e al seno. Quindi, se una donna colpita da tumore all’ovaio presenta questo tipo di mutazione, sarà opportuno che le figlie si sottopongano al test. Nel caso di esito positivo, si potrebbe procedere alla rimozione delle ovaie o, perlomeno, decidere di sottoporsi con maggior assiduità a controlli periodici, per riuscire a diagnosticare in tempo la malattia.
Ovviamente, avere la mutazione dei geni Brca1 e Brca2 non equivale alla certezza di ammalarsi, ma rende consapevoli del fatto che si ha una maggiore predisposizione a sviluppare di alcuni tipi di tumore. E ciò permette di “attrezzarsi” nel migliore dei modi, sia in termini di sorveglianza sia di strategie di riduzione del rischio.
Insomma, l’appello è chiaro. Le donne dovrebbero sottoporsi al test genetico Brca 1 e Brca 2: chi si è già ammalata così come chi può considerarsi “soggetto a rischio”, poiché presenta una storia familiare di malattia. Non ci sono controindicazioni, ma solo vantaggi. Perché dire di no?
Il gene Jolie non aumenta la mortalità, ma eseguire il test è comunque essenziale
Attenzione, però. Quando il tumore al seno si presenta, soprattutto in giovane età, avere o non avere il «gene Jolie» non cambia nulla. Insomma, con il gene Jolie, la mortalità non aumenta, sostiene uno studio della University of Southampton, pubblicato su The Lancet Oncology.
Insomma, gli inglesi sostengono dopo aver seguito oltre 2.700 pazienti fra i 18 e i 40 anni – a cui era stato diagnosticato il cancro – che le donne con la mutazione non hanno una prognosi peggiore ma, soprattutto, che in seguito a una mastectomia bilaterale, hanno le stesse probabilità di sopravvivenza delle altre.
Ciò significa, in poche parole, che le cure sono estremamente efficaci, a prescindere dalla predisposizione genetica al tumore al seno. E, avverte la comunità scientifica, il fatto che la mastectomia non offra una maggiore protezione è un dato ancora tutto da verificare, nonostante queste prime evidenze.
Ovviamente, ciò non implica che effettuare il test per mutazione del gene Brca sia inutile. Tutto il contrario. Un conto è scoprire di essere portatrici del gene dopo la diagnosi di tumore, un conto è saperlo prima, quando si è ancora sane, quando la prevenzione è ancora possibile. In tal caso, oltre all’opzione mastectomia, è possibile effettuare una attenta sorveglianza con esami ravvicinati per intercettare precocemente un eventuale tumore che, senza la consapevolezza della mutazione del gene Jolie, sarebbe molto più blanda.