Consigli per evitare la toxoplasmosi e come diagnosticarla

Redazione

Ultimo aggiornamento – 14 Aprile, 2020

gravidanza e rischio toxoplasmosi

Dr. Gianfranco Blaas, specialista in ginecologia. 


Prosegue l’intervista con il dr. Gianfranco Blaas, ginecologo, che fornisce alcuni preziosi consigli su come evitare la toxoplasmosi in gravidanza e ci illustra le principali metodiche diagnostiche per la toxoplasmosi.

Cosa fare e cosa non fare in gravidanza per evitare la toxoplasmosi?

Per evitare la toxoplasmosi, è importante seguire alcune norme igieniche:

  • Cuocere la carne prima di consumarla, assicurandosi che sia ben cotta, (anche la parte interna dei tagli grossi) e lavarsi le mani dopo aver toccato carni crude.
  • Nutrire i gatti solo con cibi bolliti o in scatola e impedire che vadano liberamente a caccia.
  • Svuotare le feci del gatto nel WC e lavare con acqua bollente ogni giorno il luogo dove vengono deposte.
  • Indossare guanti quando si maneggiano le feci ed i contenitori.
  • Evitare il contatto con gatti la cui fonte di nutrimento è sconosciuta.
  • Distruggere topi, scarafaggi, mosche, lombrichi, lumache che diffondono il parassita nell’ambiente.

Per chi può, consiglio la consultazione del sito della Università di Modena: SaPerIDoc, alla pagina Informazioni per le gestanti è disponibile un foglietto informativo in cui sono elencati i comportamenti efficaci nel ridurre il rischio di contrarre l’infezione.

Come dicevo, la toxoplasmosi è ad alto rischio nel caso in cui venga contratta in gravidanza: l’infezione può infatti passare al bambino attraverso la placenta, determinando aborto tardivo o dando origine alla toxoplasmosi congenita.

La toxoplasmosi congenita si ha quando una gestante non immunizzata s’infetta durante la gravidanza e la placenta viene invasa in seguito alla parassitemia che caratterizza la fase acuta dell’infezione.

Il risultato che si ha nel neonato: dipende dall’epoca gestazionale in cui è stata contratta l’infezione. Infatti, sino al 4° mese di gestazione la placenta è troppo spessa per permettere il passaggio del toxoplasma.

Dopo il 4° mese, con la riduzione dello spessore placentare (perché scompare il sinciziotrofoblasto), si creano delle “ finestre” più larghe nella placenta, che permettono il passaggio del toxoplasma al feto.

Ciò porterà a rischi immediati ( morte fetale) o futuri: dopo il primo trimestre le manifestazioni nel bambino infetto possono essere:

Nel 2° trimestre è asintomatica per il 75% dei casi; nel 3° trimestre l’infezione acquisita dal neonato può essere asintomatica (nel 95% dei casi) alla nascita e svilupparsi in seguito.

La gravità della toxoplasmosi congenita (maggiore nei primi mesi di gravidanza) e la frequenza di trasmissione transplacentare (maggiore nel terzo trimestre di gestazione) sono inversamente correlati.

Come si effettua la diagnosi per toxoplasmosi?

Diagnosi sierologica: abbiamo detto essere importantissima, data la scarsità e la aspecificità dei sintomi nella infezione primaria. Quindi, nei riguardi di una donna in gravidanza, si faranno:

  • Esame sierologico prima del concepimento o subito dopo l’inizio della gravidanza con ricerca di IgM e IgG. E si potranno avere questi dati:
    a) donna sieronegativa: soggetto a rischio di contrarre l’infezione (durante la gravidanza = controllo sierologico ogni mese)
    b) donna sieropositiva con IgG stabili ed assenza di IgM (soggetto non a rischio = infezione pregressa)
    c) donna sieropositiva con presenza di IgM e IgG ( diventa allora importante stabilire la data dell’inizio dell’infezione). Le IgM da sole non indicano l’infezione in atto (durata 1 anno), ricerca di nuovi marcatori d’infezione recente: IgA e avidità delle IgG.
  • Avidity IgG:
    avidità bassa: fase acuta o recente
    avidità alta: 18-20 settimane dall’infezione acuta
    alta avidità nel I trimestre è tranquillizzante
  • Valutazione complessiva dei dati clinici ed epidemiologici.

In caso di sospetta infezione congenita si esegue la ricerca di IgM e IgA nel sangue del cordone ombelicale, nel siero del neonato.

Test sierologici: IFA, EAI, ELISA, ISAGA.

Il PCR si effettua per ricercare sequenze geniche specifiche per toxoplasmosi nei campioni di fluido amniotico.
In ogni caso nessun test da solo si autosostiene, per precisare l’evoluzione dell’infezione è necessario lo studio della cinetica delle IgG su un ulteriore prelievo, la valutazione dell’avidità IgG e la presenza IgA.

Come si effettua la diagnosi di infezione fetale?

Amniocentesi – Le difficoltà e la lunghezza dei tempi delle prove biologiche (l’inoculazione in cavia richiede 3-6 settimane), nonché i rischi legati alla funicolocentesi per la ricerca di IgM e IgA nel sangue fetale (circa 2% di abortività), comunque non eseguibile prima della ventesima settimana, hanno conferito importanza crescente alla rilevazione del DNA del parassita nel liquido amniotico mediante Polymerase Chain Reaction (PCR). L’esecuzione dell’amniocentesi risulta infatti più semplice e il risultato più rapido (entro 24-48 ore dal prelievo).

Quest’aspetto risulta di grande importanza, soprattutto in quei paesi in cui l’interruzione di gravidanza non può essere effettuata oltre la ventiquattresima settimana di gestazione.

I limiti della metodica sono dati dalla mancanza di una tecnica standardizzata, un fattore che incide pesantemente sulla sensibilità e specificità dell’esame, variabile nei diversi contesti e nei diversi laboratori (in letteratura si riportano 53-97% e 91-100% rispettivamente).

La possibilità di escludere un’infezione fetale semplifica: le terapie (utilizzo di sola spiramicina con riduzione degli effetti collaterali), l’approccio diagnostico nel periodo post-natale e il follow-up del bambino.

Va comunque evidenziato il rischio di aborto legato alla tecnica invasiva (0.5%-1%).

Ecografia – In caso di toxoplasmosi materna, l’indagine ecografica embrio-fetale deve valutare:

  • le dimensioni dei ventricoli laterali
  • la presenza di calcificazioni endocraniche
  • l’aumento dello spessore placentare
  • la presenza di ascite e di epatomegalia

Studi autoptici condotti su feti infetti, dopo l’interruzione della gravidanza, hanno evidenziato come l’ecografia possa risultare nella norma al momento della diagnosi di infezione fetale, per divenire patologica in epoche successive, oppure può essere seguita da un esame autoptico positivo per necrosi cerebrale massiva.

La dilatazione dei ventricoli cerebrali può infatti manifestarsi in epoche successive a quella dell’infezione ed evolvere in tempi assai rapidi e le aree di necrosi cerebrale possono non essere visibili per l’insufficiente calcificazione dei tessuti fetali.

L’infezione precoce in gravidanza (assai rara) è costantemente associata a un severo danno cerebrale per la presenza di aree di necrosi, difficilmente rilevabili dall’esame ultrasonografico.

Per questo motivo, l’interruzione di gravidanza può essere presa in considerazione se l’infezione è confermata e si è verificata nelle prime 10 settimane di gestazione.


È possibile leggere la prima parte dell’intervista “Toxoplasmosi pericolosissima in gravidanza: scopriamo perché”, qui.

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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