Quante volte ci è capitato di utilizzare l’espressione “mi ha spezzato il cuore” oppure “ho il cuore a pezzi” per indicare un dolore, soprattutto emotivo, in seguito ad un evento spiacevole come la perdita di qualcuno che si amava?
Sicuramente molte volte ma, negli ultimi anni, si è scoperto che non è un’espressione tanto priva di fondamenta, e addirittura può arrivare anche a essere fatale. Insomma, la sindrome del cuore spezzato esiste, e il perché ce lo spiega la scienza.
Morire di cuore spezzato: sì, è possibile
Che si possa morire di cuore spezzato è un fatto appurato dalla ricerca. Molto spesso si sente di coppie sposate da tanto tempo che muoiono a distanza di qualche giorno. Infatti, la sindrome del cuore spezzato – o detta cardiomiopatia indotta da stress -, può provocare problematiche cardiache molto pericolose.
I primi a osservare questa sindrome sono stati dei medici giapponesi che, negli anni ’90, studiando un campione di pazienti colpiti da un attacco cardiaco, hanno osservato come cinque pazienti si differenziassero dai rimanenti. Questi, infatti, non presentavano ostruzioni alle arterie e il loro recupero era stato più veloce del resto del campione.
Successivamente, un gruppo di ricercatori danesi della Aarhus University ha pubblicato uno studio sulla rivista Open Heart in cui viene correlato il lutto di una persona cara, con conseguente stress e dolore, a un aumento di rischio non solo di depressione ma anche di problemi cardiaci.
In particolare, sono stati osservati quasi un milione di pazienti tra il 1995 e il 2014, di cui 886.120 sani e 88.612 ricoverati per fibrillazione atriale, la forma più diffusa di aritmia cardiaca. Dell’intero campione, 167 mila sani e 17 mila malati avevano vissuto recentemente un lutto e a seguito di questo evento l’aumento del rischio di sviluppare un problema cardiaco cresceva del 41% anche nelle persone che non avevano mai presentato problemi cardiaci.
I ricercatori, inoltre, individuarono come più rischioso il periodo che va dall’ottavo al quattordicesimo giorno successivo al lutto. La percentuale di rischio diminuisce dopo un anno dall’evento stressante.
In un altro studio pubblicato sulla rivista Psychoneuroendocrinology è stato osservato che nelle vedove e nei vedovi il rischio di sviluppare problemi cardiovascolari o decesso nei 6 mesi successivi all’episodio aumenta del 53%. Una volta analizzate le caratteristiche come il sesso, l’età e l’indice di massa corporea, i ricercatori hanno rilevato livelli elevati di citochine pro-infiammatorie, marcatori indice di un’infiammazione nell’apparato circolatorio.
Un altro fattore che ha destato molta attenzione è che l’Heart Rate Variability (HRV), ovvero la variabilità del battito cardiaco, è diminuita significativamente del 47%. Il battito cardiaco, infatti, non ha la stessa ritmica nel corso di un minuto, ma è influenzato dalla respirazione e dalla contrazione del cuore. Di conseguenza avere una variabilità del battito cardiaco è un fattore benigno, mentre avere una diminuita variazione aumenta significativamente la probabilità di avere problemi cardiaci.
Un altro fattore importante è che in questi soggetti erano presenti il 20% in più di sintomi depressivi. Questa è un’altra prova del fatto che ci siano dei legami molto importanti tra depressione, disturbo mentale e disturbi cardiaci.
Un’altra conferma a sostegno di quanto reale e concreta sia la sindrome del cuore spezzato ce la porta su un palmo di mano una ricerca condotta da scienziati di Harward e del Wisconsin, nella quale vengono analizzati i cambiamenti fisiologici che avvengono a livello dell’organismo nel momento in cui si subisce una perdita o un lutto. Analizzando 300 mila coppie di anziani, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che il dolore procurato dalla perdita ha conseguenze sulla salute.
Inoltre, un fatto molto romantico che emerge da questa ricerca è che le coppie che sono abituate a dormire nello stesso letto per tanti anni, arrivano a sincronizzare il proprio battito cardiaco. Nel momento del distacco, quindi, anche il cuore stesso percepisce la mancanza della persona che si aveva accanto.
Ma cosa succede nello specifico? Da quanto ci dicono i ricercatori, sembrerebbe che una parte del cuore rallenti e smetta temporaneamente di pompare sangue al resto del corpo, procurando un battito cardiaco alterato.
La sindrome del cuore spezzato: come riconoscerla in tempo
I sintomi della sindrome del cuore spezzato sono similari a quelli che si sperimentano durante un infarto cardiaco, con la differenza però che spesso non si trovano ostruzioni nelle arterie coronarie.
Come nell’infarto, quindi, si ha dolore al petto e respiro corto. Si possono inoltre sperimentare:
- Capogiri
- Svenimenti
- Pressione sanguigna bassa
- Nausea
- Percezione di un battito cardiaco irregolare.
Solitamente, questi campanelli di allarme iniziano un paio di ore dopo lo shock. In ogni caso, è meglio chiamare un’ambulanza. Il blocco momentaneo del cuore può provocare un successivo arresto cardiaco.
Le persone maggiormente a rischio sono le donne con età superiore ai 50 anni, come conseguenza di livelli inferiori di estrogeni e predisposizione genetica. La sindrome è trattabile, certo. Ma solo se riconosciuta in tempo. Quindi, per la diagnosi, è sempre bene sottoporsi a:
- Esame fisico e storia clinica
- Elettrocardiogramma
- Esami del sangue
- Angiografia coronarica
- Ecocardiogramma
- Immagine di perfusione radionuclide
- Raggi X al petto
Insomma, tutto ciò che una volta veniva raffigurato come semplice debolezza o fragilità, trova nelle ricerche il suo fondamento: la sindrome del cuore spezzato esiste davvero.