Pulizia, disinfezione e sanificazione: no, non sono la stessa cosa, seppur in molti casi siano usati come sinonimi. Eppure, si tratta di concetti e procedure molto diverse.
Con il termine pulizia, infatti, indichiamo tutte quelle operazioni volte a eliminare lo sporco visibile, tra cui polvere, macchi e rifiuti vari. Pulendo, effettuiamo un lavaggio più o meno approfondito con l’aiuto dei classici detergenti.
La disinfezione, invece, è lo step successivo: ha l’obiettivo di ridurre al massimo la presenza di germi e patogeni, grazie all’utilizzo di detergenti disinfettanti o altri sistemi di disinfezione ambientale.
In ultimo - e attuale in questo periodo - cos’è la sanificazione? Quando e dove è necessaria? Cerchiamo di approfondire la questione.
Cos’è la sanificazione e a cosa serve
Quando parliamo di sanificazione facciamo riferimento a una operazione mirata a debellare qualsiasi agente contaminante - che, né con pulizie né con disinfezione classica, è possibile rimuovere. Insomma, l’obiettivo della sanificazione è di condurre la carica microbica e virale entro degli standard igienici ottimali.
Certo, in un ambiente domestico sanificare significa mantenere un buon standard di igiene e pulizia. Negli ambienti aperti al pubblico, invece, il discorso è molto diverso e, ovviamente, varia anche in base al tipo di luogo: le norme, le modalità e i prodotti dipendono dalle singole attività. Ad esempio, la sanificazione di un ristorante è molto diversa da quella prevista per un ospedale. In ogni caso, i vantaggi della sanificazione sono vari:
- Abbattimento batteri, virus, muffe, funghi e patogeni in generali
- Abbattimento degli inquinanti sia chimici sia biologici
- Eliminazione allergeni
- Riduzione particelle fini, derivanti dall’inquinamento
- Eliminazione cattivi odori
Sebbene la sanificazione degli ambienti sia tornata alla ribalta con l’inizio della pandemia da Coronavirus, è bene però sottolineare che si tratta di una pratica - soprattutto per uffici e luoghi frequentati quotidianamente dal pubblico - che dovrebbe essere concepita come ordinaria, così come previsto dalle imposizioni di legge già in vigore. Il motivo? Trascorriamo almeno l’85% del nostro tempo in ambienti chiusi che, non se non correttamente disinfettati, potrebbero veicolare virus e infezioni varie, Covid-19 compreso.
Sanificazione degli uffici: come farla e quando
In vista della fase 2, sono soprattutto le attività produttive, le imprese, le aziende e i locali pubblici (rimasti chiusi) a dover mettere in campo opere di sanificazione.
Le aziende, infatti, secondo un protocollo firmato da Governo e Sindacati, devono assicurare «la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica di locali, ambienti, postazioni di lavoro e aree comuni e di svago». Sono ovviamente compresi schermi touch, mouse, spogliatoi, locali mensa e persino le tastiere dei distributori di snack, caffè e merendine. Dunque tocca ai datori di lavoro provvedere a proprie spese alla sanificazione rivolgendosi a imprese di pulizia specializzate, pur potendo usufruire degli incentivi ministeriali.
Non essendo ancora state emanate linee guida per la fase 2, per ora la questione sull’obbligatorietà rimane nebulosa, anche se è chiaro che «la disinfestazione diventa imprescindibile negli ambienti nei quali si sono verificati casi di positività», ha spiegato il virologo Giovanni Rezza, dell’Istituto Superiore della Sanità.
Sanificazione delle strade: efficace oppure no?
Per quanto riguarda la sanificazione delle strade declamata in questo periodo, la faccenda si complica, e non poco. Ad oggi, infatti, non abbiamo evidenze scientifiche per sostenere che le superfici su cui camminiamo siano coinvolte nella trasmissione del Coronavirus.
A tal proposito è intervenuto anche il Ministero della Salute con una circolare: «È importante sottolineare che esistono informazioni contrastanti circa l’utilizzo di ipoclorito (ndr: sostanza utilizzata perlopiù per la sanificazione degli ambienti) e la sua capacità di distruggere il virus su superfici esterne (strade) e in aria. L’efficacia delle procedure di sanificazione per mezzo dell’ipoclorito su una matrice complessa come il pavimento stradale non è peraltro estrapolabile in alcun modo dalle prove di laboratorio condotte su superfici pulite».
Anzi, la stessa Cina, prima vittima del Coronavirus, dopo aver messo in atto varie opere di sanificazione, ha messo in dubbio l’efficacia della pratica tramite la voce dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, spiegando che il ripetuto impiego di disinfettanti «potrebbe comportare inquinamento ambientale e dovrebbe essere evitato».
Non solo. Vi sarebbero evidenze secondo cui l’ipoclorito di sodio potrebbe reagire con il materiale organico presente sulle strade, causando la formazione di sottoprodotti cancerogeni con rischio di inalazione per operatori e popolazione. Non è stata inoltre esclusa la possibilità che lavaggi stradali di questo tipo possano contaminare le riserve d’acqua locali.
Sulla base di queste valutazioni, il ministero della Salute consiglia, in questa fase dell’epidemia, di limitare la disinfezione stradale a interventi straordinari, e solo a patto che siano assicurate protezioni adeguate agli operatori e agli eventuali passanti. Il parere complessivo del Ministero? Contrario.