Rooming in: ecco cosa c’è da sapere

Mattia Zamboni | Seo Content Specialist

Ultimo aggiornamento – 25 Gennaio, 2023

Scopriamo in cosa consiste il rooming

Dopo la tremenda notizia del neonato soffocato all’ospedale Pertini di Roma, è lecito chiedersi in cosa consiste la pratica del rooming in e quali sono i lati positivi e le possibili criticità di questo modello.

Cerchiamo di analizzare il tutto nelle prossime righe.

Cos’è il rooming in

Secondo quanto riportato dall’UNICEF, un neonato sano – subito dopo il parto – dovrebbe essere tenuto a contatto con la propria madre (sia che si tratti di parto naturale, sia in caso di cesareo).

A sostegno di questa idea, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNICEF promuovono il modello del rooming in, ovvero la permanenza del neonato e della madre nella stessa stanza il maggior tempo possibile durante le 24 ore dopo aver partirito.

In questo modo, il genitore può interagire con il bambino in ogni momento, indipendentemente dagli orari prestabiliti per le poppate; questa pratica viene utilizzata per favorire l'allattamento e il contatto fisico.

Alcuni ospedali, poi, consentono il rooming in anche al padre, che può stare in camera con mamma e neonato senza vincoli di orario. Purtroppo, però, questa non è la normalità: il rooming in, senza il proprio partner (e in solitudine) può rivelarsi molto più complesso, soprattutto per chi ha subìto un parto cesareo.

Spesso, infatti, le neomamme si sono trovate completamente sole e senza un sostegno adeguato.

I pro e i contro del rooming in

Pro e contro del rooming in

Dopo il parto, il neonato passa da un ambiente caldo, silenzioso e circoscritto come l’utero, a un luogo completamente freddo, rumoroso e pieno di luce come la sala parto: stare tra le braccia della madre, riconoscerne la voce, l’odore e il battito cardiaco può essere rassicurante.

Molti studi scientifici hanno indagato i benefici del rooming in.

Ecco i più significativi:

  • favorisce la conoscenza e il contatto reciproco (anche con il padre e gli altri familiari, quando è possibile);
  • riduce il pianto e ha un effetto calmante sul neonato;
  • favorisce il corretto attaccamento al seno e un avvio all’allattamento migliore, dal momento che esso può avvenire quando lo desidera il bambino (e non negli orari prestabiliti come in altri casi;
  • stabilizza il metabolismo, la temperatura corporea e regola la respirazione e il battito cardiaco del neonato;
  • la vicinanza nelle ore notturne facilita la fisiologica secrezione ormonale, aiutando la montata lattea;
  • sembra possa portare ad un minore rischio di infezioni neonatali (possibilità che diventa maggiore se il bambino viene spostato subito al nido);
  • rafforza le abilità nel prestare le prime cure al bambino (suzione, allattamento, cambio pannolino);
  • aiuta a far rispettare i ritmi sonno-veglia del neonato, che non dovrà adattarsi alle esigenze dell’ospedale ma potrà poppare e dormire secondo i propri bisogni.

Le controindicazioni del rooming in

Dopo aver preso in considerazione tutti i possibili benefici del rooming in, occorre sottolineare anche la più grande fonte di rischio: il continuo contatto tra neonato e genitore può essere molto stancante (soprattutto dopo un parto estenuante); la madre potrebbe sentirsi sola nell'affrontare le nuove difficoltà, ed è proprio qui che serve un maggior sostegno da parte della struttura ospedaliera.

È, infatti, importantissimo che il genitore venga sostenuto e guidato dal personale infermieristico nella presa in carico del bambino (soprattutto nei casi in cui le condizioni personali e/o cliniche non permettano una precoce gestione autonoma del figlio).

Non è da sottovalutare, poi, il sostegno del partner, che diventa una risorsa preziosa nell’accudire il bambino, anche durante l’allattamento: la sua vicinanza è fondamentale dal punto di vista psicologico e di condivisione di un’esperienza.

Al momento, il rooming in non è una pratica obbligatoria in Italia e le modalità con cui viene messo in pratica dipendono dalla struttura ospedaliera o dalla clinica.

In tal senso, se si vuole intraprendere questa pratica, ci deve sempre essere un accompagnatore; se quest’ultimo non dovesse esserci, il neonato viene portato al nido e, finito l'allattamento, va depositato in culla.

Il nido non cessa, però, di essere utile: servirà sempre per i neonati che presentano lievi patologie e necessitano di terapie, ma anche per rispondere a esigenze particolari e a difficoltà del neo genitore.

Il rooming-in, in conclusione, deve essere vissuto come un'opportunità, non come un obbligo; deve essere proposto senza regole fisse, lasciando alla mamma la libertà di scegliere se e per quanto tempo effettuarlo.

Mattia Zamboni | Seo Content Specialist
Scritto da Mattia Zamboni | Seo Content Specialist

Ho conseguito la laurea in Scienze della Comunicazione con un particolare focus sullo storytelling. Con quasi un decennio di esperienza nel campo del giornalismo, oggi mi occupo della creazione di contenuti editoriali che abbracciano diverse tematiche, tra cui salute, benessere, sessualità, mondo pet, alimentazione, psicologia, cura della persona e genitorialità.

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