L’11 febbraio si è svolto a Roma un convegno tenuto dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della salute; tema all’ordine del giorno è stata la resistenza agli antibiotici che sempre più cresce nel nostro Paese. Infatti, secondo ultime ricerche, l’Italia risulta essere il paese europeo con la più alta percentuale di resistenza verso un gran numero di antibiotici.
Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, sostiene si tratti di un problema da non sottovalutare e di cui preoccuparsi, visto l’alto numero di pazienti che sempre più resistono, rendendo complicata la ricerca di ulteriori cure.
I dati
Secondo i dati riportati, in Italia ogni anno è circa il 7-10% dei pazienti ricoverati a contrarre un’infezione, tra le più comuni la polmonite e le infezioni del tratto urinario, riportando un numero di decessi pari a 4500-7000. Per questo, è indispensabile ricorrere al più presto a un soluzione. I principali punti su cui concentrarsi sono:
- l’utilizzo degli antibiotici stessi, da rendere più appropriato nelle case e negli ospedali italiani, così da fermare la possibile formazione di nuove resistenze;
- utilizzare tutte le risorse possibili al fine di aumentare il numero di molecole antibiotiche disponibili ai pazienti.
Le principali resistenze
Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Edcd) e l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), le problematiche principali derivano da:
- La resistenza dell’Escherichia coli negli allevamenti degli Stati Ue
- La resistenza del Campylobacter alla ciprofloxacina
- La resistenza delle Salmonelle alle diverse molecole
Un campanello d’allarme che non scatta solo per l’Italia, ma per l’Europa in generale, riportando un grosso rischio per la salute sia dell’uomo che degli animali.
Il commissario europeo per la Salute e la sicurezza alimentare, Vytenis Andriukatis, ha affermato che, a causa di questo problema, ogni anno nell’Ue, le infezioni provocano circa 25.000 morti. Una situazione, quindi da non sottovalutare, soprattutto perché, come ha sostenuto Mike Catchpole, Chief Scinetist di Ecdc, a lungo andare nemmeno i farmaci validi ancora rimasti in campo sarebbero in grado di curare i pazienti con Salmonella.
Le differenze regionali
Esistono però paesi in cui il problema prevale, riportando una netta differenza regionale. Sembrerebbe, infatti, che i paesi con maggiore resistenza siano quelli dell’Europa orientale e meridionale, al contrario del nord Europa dove, secondo Marta Hugas, capo dell’Unita dell’Efsa per i pericoli biologici e contaminanti, si rileva una resistenza più bassa nei batteri di pollame, soprattutto in quei paesi in cui l’uso di antimicrobici negli animali è limitato.
Il Campylobacter, ad esempio, comporta la campilobatteriosi, la malattia di origine alimentare più diffusa in Europa. Questa si è dimostrata resistente ad antibiotici comuni, come la ciprofloxacina, riportando numeri alquanto alti sia negli umani (60,2%) che nel pollame (69,8%); ulteriori resistenze anche all’acido nadilixico e alle tetracicline nei polli.
Rimanendo sul tema delle malattie di origine alimentare, la seconda più diffusa in Ue è la salmonellosi. Anche qui la resistenza agli antibiotici è parecchio alta, sia negli umani che nel pollame. Due tipologie di batteri sono le più allarmanti, la Salmonella kentucky e la Salmonella infantis, sulle quali è stata rilevata alta resistenza a comuni medicinali e in particolar modo alla ciprofloxacina.