Rabbia, aggressività e atteggiamento di sfida: quando le emozioni nascondono un disturbo

Redazione

Ultimo aggiornamento – 14 Aprile, 2020

Rabbia e Sfida: un Disturbo del Comportamento

In collaborazione con sanita_informazione


A cura del  Comitato Scientifico AIDM.


Assieme alle Specialiste dell’Associazione Italiana Donne Medico parliamo di un disturbo della comportamento del bambino, cercando di coglierne meglio ogni aspetto: il Disturbo Oppositivo Provocatorio. 

Quando nei bambini si parla di Disturbo Oppositivo Provocatorio?

Il DSM-5, MANUALE DIAGNOSTICO E STATISTICO DEI DISTURBI MENTALI fa rientrare il disturbo oppositivo provocatorio (DOP) e il disturbo della condotta (DC) nei “Disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta”. Entrambi si riferiscono a situazioni che interessano l’autocontrollo delle emozioni e dei comportamenti. Sono uno dei più frequenti motivi di richiesta di consultazione e di trattamento nei servizi dedicati all’età evolutiva.

Nella pratica clinica, la distinzione tra i due disturbi non è sempre facile, in quanto le due modalità costituiscono spesso un continuum evolutivo e condividono fattori di rischio individuali e familiari. Una storia precoce di DOP è spesso presente in bambini che vengono successivamente diagnosticati come disturbo della condotta (DC).

La prevalenza del disturbo oppositivo provocatorio (DOP) è costante nei vari paesi, non è influenzata cioè da fattori culturali. La stima di prevalenza media è del 3,3 %.

Nel corso della prima infanzia, il comportamento oppositivo è parte del normale sviluppo, come tentativo del soggetto di esprimere la propria autonomia, in particolare tra i 18 e 36 mesi di età e, più tardi, è considerato normale in adolescenza. Quando il comportamento ostile persiste nel tempo e in forme sempre più accentuate, esso viene definito DOP.

La diagnosi di Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) riguarda bambini che esprimono livelli di rabbia persistente, irritabilità, comportamenti provocatori e oppositività per almeno 6 mesi; tali sintomi causano disturbi nell’adattamento e nella funzionalità in ambiente scolastico, familiare, sociale. Molti bambini vengono diagnosticati come DOP in età preadolescenziale, ma l’esordio è in genere intorno ai 6 anni di età. Prima dell’adolescenza è più diffuso nei maschi che nelle femmine. Nel 50% dei bambini c’è anche una diagnosi di ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder).

I fattori di rischio che favoriscono l’insorgenza del DOP e che aumentano la possibilità di comportamento dirompente sono:

  • Essere abusato o trascurato.
  • Ricevere una disciplina particolarmente severa oppure del tutto  inconsistente.
  • Avere mancanza di supervisione.
  • Avere genitori con una storia di ADHD, disturbo oppositivo provocatorio o problemi di comportamento.
  • Vivere una condizione di instabilità familiare.
  • Vivere cambiamenti stressanti che inficiano il senso di coerenza di un bambino.

Secondo le visioni più attuali, gli aspetti genetici, temperamentali e neurobiologici, che sono fattori predisponenti, prenderanno pieghe diverse in funzione del contesto relazionale in cui essi si collocano. Le competenze dell’adulto di riferimento, genitori, insegnanti, tendono ad assumere il rilievo maggiore: la sicurezza e la coerenza emotiva della coppia genitoriale possono infatti garantire una più ampia possibilità di accogliere e orientare deficit o eccessi di segnalazione emotiva da parte del bambino.

Come si diagnostica?

Si fa diagnosi di Disturbo Oppositivo Provocatorio quando sono presenti 4 (o più) dei seguenti criteri:

  • umore collerico/irritabile;
  • rabbia e rancore;
  • comportamento polemico/provocatorio;
  • comportamento litigioso;
  • sfida e rifiuto di rispettare le richieste o le regole degli adulti;
  • atteggiamento accusatorio verso gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento;
  • suscettibilità;
  • vendicatività;
  • atteggiamento dispettoso.

Qual è l’approccio più corretto che, in questi casi, una mamma può seguire?

Il consiglio su cosa deve fare la madre, ma sarebbe meglio parlare di coppia genitoriale, parte dalla considerazione che il disturbo è importante e potrebbe esitare in disturbo della condotta (DC) con le ovvie conseguenze.

Quindi, la gestione non può essere “casalinga”, ma richiede la consapevolezza che occorre l’intervento professionale di neuropsichiatri infantili per arrivare a una diagnosi corretta, cosa non sempre facile, data anche la carenza di servizi specialistici per l’infanzia.

La famiglia deve essere coinvolta profondamente, adeguatamente informata e supportata. E la scuola può avere un ruolo importante se ha insegnanti preparati a gestire il problema. I genitori dei bambini con tali disturbi potrebbero non accettare facilmente la premessa che le loro pratiche genitoriali abbiano giocato un ruolo importante nello sviluppo dei problemi o che possano essere usate per modificare l’attuale situazione. La tenace aderenza a programmi terapeutici che sono di durata variabile, ma spesso piuttosto lunghi, è forse il miglior contributo che la famiglia può offrire.

Un ruolo importante ha il pediatra di famiglia che deve indirizzare il bambino dal neuropsichiatra infantile, preferibilmente presso un centro pubblico,  e non in primis dallo psicologo, come talvolta ancora avviene, determinando l’inizio di terapie in assenza di un chiaro inquadramento diagnostico. La consultazione e la terapia psicologica potranno poi avvenire in un secondo momento.

Sono offerte diverse tipologie di trattamento del disturbo oppositivo provocatorio che coinvolgono sia il bam­bino che la coppia genitoriale.

Generalmente, si predilige la combinazione di interventi che in lettera­tura hanno mostrato maggiore efficacia, ovvero quelli focalizzati sul fornire ai genitori strategie educative più adeguate, sul potenziare le competenze relazionali del bambino, le sue capacità di problem solving e di gestione della rabbia.

Per i bambini in età prescolare l’intervento spesso si concentra solo su una psico-edu­cazione rivolta ai genitori; per l’età scolare invece risulta maggiormente efficace un lavoro che coinvolga la scuola oltre che un intervento di psico-educazione genitoriale e una terapia individuale con il bambino. Infine, per gli adolescenti la modalità più efficace di trattamento risulta quella della terapia individuale, associata ad un parent-training.


L’Associazione Italiana Donne Medico (A.I.D.M.) è un’associazione apartitica e aconfessionale e senza fini di lucro.
Fondata nel 1921 a Salsomaggiore Terme e riconosciuta nel 1922 a Ginevra, dal Bureau Internazionale, è membro della “Medical Women’s International Association” (M.W.I.A.).

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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