Dal greco “Omos“, “uguale”, e “Fobos“, “paura”, l’omofobia è una delle paure più diffuse nella nostra società e indica, letteralmente, “paura nei confronti di persone dello stesso sesso”. Più precisamente, si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali.
In realtà, bisognerebbe distinguere i due termini perché paura e fobia non sono la stessa cosa e, se la prima è un sentimento naturale, la seconda è una vera e propria patologia, a volte così grave da condizionare l’esistenza di chi ne è affetto.
Paura e fobia
La paura è una condizione fisiologica di allerta, necessaria per sollecitare le naturali reazioni dell’organismo di fronte a una situazione di pericolo. E’, quindi, una reazione necessaria per mantenere la serenità e la nostra stessa sopravvivenza, poiché ci induce ad affrontare con attenzione e prudenza le situazioni di probabile difficoltà. In altre parole, una giusta dose di paura può salvarci la vita.
Quando la paura è del tutto ingiustificata, irrazionale e sproporzionata, si parla di fobia. Le fobie sono classificate in due diverse tipologie:
- semplici
- complesse o sociali
Le fobie semplici sono quelle inerenti un singolo evento, come quelle verso un animale. L’omofobia, appartiene alla seconda categoria per le sue connessioni con un particolare ambiente o gruppo sociale.
Nonostante l’irrazionalità che contraddistingue tutte le fobie, essere fobici non significa essere inconsapevoli. Il fobico, infatti, si rende conto sia dell’irrazionalità della propria paura che della sproporzione tra le situazioni che la producono e le reazioni assunte ma, nonostante questo, non riesce a controllarla razionalmente. Se diverse fobie sono considerate vere e proprie patologie, l’omofobia non è inserita in alcuna classificazione clinica come patologia e il termine va quindi considerato soltanto un’espressione generica, priva di significato clinico.
L’omofobia può manifestarsi in molti modi, dalla battuta su un una persona gay che passa per la strada, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. Diversi eterosessuali omofobici raccontano di sentirsi a disagio in presenza delle persone gay o lesbiche e non possono evitare atteggiamenti di disprezzo anche in pubblico. In altri casi, l’omofobia è giustificata dal disgusto verso i loro comportamenti [1].
L’omofobia interiorizzata
Vivere in un ambiente dai forti connotati omofobici può indurre le persone omosessuali ad accettare pregiudizi e atteggiamenti discriminatori verso l’omosessualità. Questa interiorizzazione del pregiudizio, in genere inconsapevole, può costringere a vivere con difficoltà o rifiutare il proprio orientamento sessuale o addirittura a nutrire sentimenti discriminatori nei confronti degli altri omosessuali.
In questo caso, l’omofobia prende il nome di omofobia interiorizzata, che può essere un problema che porta a gravi complicazioni psicologiche se non a vere e proprie psicopatologie.
Le cause dell’omofobia
L’omofobia deriva dall’idea che l’unica condizione naturale sia l’eterosessismo, cioè scegliere un partner del sesso opposto. Tale considerazione, che può nascere da convinzioni sociali, religiose ambientali, etc… è basata anche sulla convinzione che in natura non esistano comportamenti omosessuali, da cui le teorie di condanna dei comportamenti omosessuali in quanto “contro natura”. Oggi sappiamo, al contrario, che questa convinzione è falsa e che in natura altre specie animali adottano anche comportamenti omosessuali.
Una delle cause principali dei comportamenti omofobici è di natura sociale. Da sempre, nelle società strutturate, i comportamenti prevalenti sono considerati, ipso facto, quelli giusti. Comportamenti diversi, di qualunque natura siano, sono considerati devianti e pericolosi, quindi contrastati.
In questi contesti, gli atteggiamenti di rifiuto, che spesso diventano fobici, vengono in genere adottati nei confronti di tutte le minoranze portatrici di valori diversi, perché visti come una minaccia nei confronti di quelli dominanti.
Il pregiudizio anti-gay, particolarmente evidente nei gruppi di persone più anziane, in alcune comunità religiose e negli ambienti meno sviluppati culturalmente ed economicamente, è spesso rinforzato dalla distanza con la comunità omosessuale. Gli individui che presentano un’alta omofobia, di fatto, non conoscono la realtà gay e lesbica e ne hanno un’idea confusa e pregiudizievole, perché basata solo su quanto sentito dire dagli altri.
Secondo Erich Fromm, l’omofobia è spesso correlata al timore di essere considerati omosessuali. E’ più frequente negli uomini che nelle donne, perché dal punto di vista della cultura maschile e sessista, il maschio, se omosessuale, perde la sua virilità e nel pensiero sessista viene considerato un debole quindi, in senso dispregiativo, una femmina.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che tutti tendiamo ad agire in modo coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto in base alle convenzioni sociali dominanti. Per esempio, chi vive in un ambiente dove l’insulto ai gay è molto diffuso, tenderà a insultare i gay o a insultare i propri amici e conoscenti paragonandoli ai gay.
Le credenze negative nei confronti dell’omosessualità, soprattutto se ben radicate negli ambienti di riferimento, come la famiglia, possono poi influire negativamente sull’orientamento sessuale delle stesse persone omosessuali. L’omofobia interiorizzata, secondo diversi studi, potrebbe dipendere dal blocco psicologico causato dal vivere in una famiglia con forti pregiudizi anti gay, seguendo il concetto freudiano del blocco dei desideri inconsci, che porta a comportamenti opposti a quelli desiderati.
Anche se altri studi contestano questi risultati, uno studio inglese dell’Università dell’Essex, condiviso e comparato con studi americani e tedeschi, ha provato a misurare i livelli di omofobia, somministrando un apposito questionario a un gruppo di circa 160 studenti universitari. Il questionario era compilato in modo da far emergere le discrepanze tra quello che si è in pubblico e quello che si sente di essere. I dati emersi hanno indicato che l’accettazione dei propri orientamenti sessuali è molto più facile per le persone che vivono in un ambiente familiare aperto, pur se di abitudini e convinzioni diverse dalle proprie [2].
Omofobia e violenza
Anche se l’Unione Europea li considera analoga al razzismo, alla xenofobia, all‘antisemitismo e al sessismo e la condanna allo stesso modo, ed anche se il livello di accettazione nei confronti dei gay si è notevolmente accresciuto, i comportamenti violenti contro le persone omosessuali o la comunità LGBT nel suo insieme, non tendono affatto a diminuire e le cronache riportano spesso episodi violenti di inaudita gravità.
Le violenze e il mancato rispetto della libertà di orientamento sessuale sono, purtroppo, diffusi a tutte le latitudini e tutti i paesi e, in alcune culture, l’omosessualità è ancora considerata un reato grave e punibile perfino con la morte.
I comportamenti violenti, che vanno dalla pubblica derisione, alle discriminazioni sociali e sul luogo di lavoro, fino alla violenza fisica, tortura e omicidio, non sono messi in atto solo da persone omofobe o bande di giovani borderline. Spesso, anche in alcuni ambienti, che pure dovrebbero garantire istituzionalmente protezione, questi comportamenti sono molto diffusi.
I luoghi di detenzione, ad esempio, a volte si trasformano in veri e propri lager per le persone gay, lesbiche, transgender o bisex e gli abusi non vengono commessi soltanto dai compagni di detenzione ma, a volte più spesso, dagli agenti di custodia. In alcuni paesi, la diversità sessuale è ancora considerata una malattia e i gay vengono sottoposti a trattamenti terapeutici obbligatori che vanno dall’elettroshock alla castrazione chimica.
Sebbene non siamo mai stati considerati studi e monitoraggi ufficiali sulle violenze contro la comunità LGBT, i dati pubblici, pur parziali e frammentati, indicano sia che le violenze sono presenti trasversalmente in tutti i paesi, sia che il loro aumento è tale da essere diventato preoccupante.
Si registrano, infatti, picchi di violenza omofobica e transfobica in concomitanza di ogni tentativo istituzionale di legiferare per garantire maggiori diritti e protezione alla comunità LGBT. E’ un fenomeno che porta a diversi parallelismi, basti pensare a quelli che, nel passato, si verificavano per le minoranze razziali. Vengono in mente gli Stati Uniti degli anni ’50 e ’60, gli scenari ben raccontati da film come “Mississipi Burnig” [3].
Curare la paura
L’omofobia, pur non rientrando nelle classificazioni cliniche, può essere trattata con un’adeguata psicoterapia. Come ogni altra fobia, può essere trattata con una forma di terapia cognitivo comportamentale, utile per entrambe le casistiche fobiche, chiamata terapia di esposizione.
Consiste nel presentare al paziente l’evento che lo rende fobico in modo graduale e progressivo. Il processo di solito ha questi passaggi:
- Valutazione: il paziente descrive la fobia e il terapeuta prova a individuarne la causa passata che può averla determinata.
- Feedback: il terapeuta classifica e valuta la fobia e propone un piano di trattamento.
- Preparazione: paziente e terapeuta creano un elenco di scenari in cui la fobia si manifesta, aumentandone l’intensità passo dopo passo.
- Trattamento (esposizione): si comincia a esporre le voci descritte nell’elenco, a partire da quelle meno intense. Ciascuno scenario viene esposto finché non genera più ansie e paura.
- Rafforzamento: superato uno scenario si passa al successivo, di intensità maggiore.
Per esempio, un paziente che teme in modo spropositato i ragni, (aracnofobia) viene invitato, come prima cosa, a immaginarne uno, successivamente a osservare il disegno di un piccolo ragno, fino a quando l’ansia scompare. Si passa quindi a sottoporre un disegno più ricco di particolari, per il tempo necessario a consentirle di controllare l’ansia e perdere la sensibilità nei confronti dell’immagine.
La terapia prosegue seguendo il ritmo del paziente, fino ad arrivare a presentargli un ragno vero. Il terapeuta può tenerlo in mano fino a quando l’ansia si riduce a un livello accettabile (tecnica di modelling) e il paziente può quindi essere invitato a toccare o a prendere in mano il ragno (tecnica in vivo).
La terapia dell’esposizione è ritenuta molto valida nella cura delle fobie, ma non si hanno dati statistici sufficientemente verificati in merito alla sua funzionalità nei confronti dell’omofobia [4].
Fonti
[1] Homophobia http://archive.adl.org/hate-
[2] Homophobia http://www.allaboutcounseling.
[3] Homophobic and transphobic violence https://www.unfe.org/system/
[4] Treatment and Cure: Two very Different Things http://www.