Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, i denti potrebbero essere la finestra sulle… malattie neurodegenerative?
Una nuova teoria pubblicata su Nature Reviews Neurology suggerisce che l’esposizione al ferro può portare a malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson, e che, guardando i denti di una persona, si potrebbe avere una panoramica sulla sua esposizione a questo rischio.
“I denti sono di particolare interesse per la misura dell’esposizione chimica nello sviluppo fetale e durante l’infanzia: forniscono un registro cronologico di esposizione proprio come gli anelli di un tronco d’albero“, ha detto il dottor Manish Arora, direttore dell’esposizione biologia presso il Senator Frank Lautenberg Environmental Health Sciences Laboratory a Mount Sinai e professore associato di medicina preventiva e odontoiatria presso la Scuola di Medicina di Icahn. “La nostra analisi dei depositi di ferro nei denti come metodo per la determinazione retrospettiva di esposizione chimica è solo una applicazione: crediamo che i denti abbiano il potenziale per contribuire a rintracciare l’impatto dell’inquinamento sulla salute a livello globale“.
I biomarcatori e il metabolismo del ferro
Il dr Arora, insieme al dottor Domenico Lepre, è stato in grado di utilizzare la tecnologia dei biomarcatori dentali per distinguere i neonati allattati al seno da quelli alimentati con latte artificiale – una cosa che può essere importante nel determinare il legame tra maggiore assunzione di ferro da bambini e le malattie neurodegenerative associate a una irregolare metabolizzazione del ferro.
Ovviamente, non tutti i bambini alimentati artificialmente sperimenteranno tale malattia in età adulta, ma la combinazione di esposizione al ferro e una predisposizione al metabolismo alterato del metallo potrebbero essere sufficienti a danneggiare le cellule nel corso del tempo.
“Solo ora abbiamo la tecnologia adatta per guardare indietro nel tempo la dieta di qualcuno più di 60 anni dopo che ha smesso di indossare pannolini”, ha affermato Lepre in un comunicato stampa. “La tecnologia State-of-the-art di imaging è una macchina del tempo per sostanze chimiche che ci può raccontare esposizioni chimiche vecchie di decenni equivalenti a una goccia di inchiostro in una piscina“.
Alimentazione: mangiamo troppo ferro?
L’importanza di capire il metabolismo del ferro è diventata molto più urgente. L’aggiunta di ferro negli alimenti è ormai abituale da decenni – soprattutto perché tante persone in tutto il mondo pensano di essere affette da anemia cronica e carenza di ferro. Secondo gli autori, le prove che i bambini americani ed europei hanno poco ferro sono insufficienti. La Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica, Epatologia e Nutrizione ha detto che non c’è ragione che i neonati di peso normale alla nascita abbiano bisogno di integrazione di ferro, ma negli Stati Uniti è un’abitudine ancora all’ordine del giorno.
“Anche se può sembrare come disegnare un lungo arco che collega ciò che accade durante l’infanzia alle malattie che riteniamo tipiche dell’invecchiamento, i tassi crescenti di queste malattie testimoniano che dobbiamo fare tutto il possibile per scoprire cosa potrebbe avere un ruolo determinante nel modo in cui la malattia inizia“, ha detto Lepre. “Questo ci dice qualcosa per indirizzarci nella progettazione di nuovi trattamenti“.
A parte la teoria che l’esposizione infantile al ferro porti a un aumento del rischio di neurodegenerazione, i ricercatori ritengono che la determinazione dell’integrazione di ferro in base alle esigenze individuali di un bambino dovrebbe essere una priorità pediatrica.