Sempre più spesso si parla di malattie genetiche. Ma sappiamo davvero cosa sono? Le patologie genetiche sono tante e molto diverse tra loro, per questa ragione non è sempre facile riconoscerle e combatterle.
La malattia di Wilson è una malattia epatotobiliare congenita dovuta ad una mutazione del gene atp7b a cui si deve un anomalo trasporto di rame nella bile, al di fuori delle cellule del fegato. Il rame si accumula in vari organi, come occhi, reni, ossa ma, soprattutto, nel fegato e in alcune parti del cervello.
I sintomi di questa patologia si manifestano, infatti, provocando
– cirrosi
– ittero
– epatite
– insufficienza epatica acuta.
A livello neurologico si possono osservare disturbi del movimento e del linguaggio, e manifestazioni di tipo parkinsoniano (rigidità e tremori), oltre che disturbi psichiatrici, come anomalie comportamentali, depressione, allucinazioni e deliri.
Quali sono i passi in avanti fatti dalla ricerca per la cura della malattia di Wilson?
Questa malattia si può curare con terapie farmacologiche a base di chelanti (soprattutto penicillamina), molecole capaci di legare l’eccesso di rame nel fegato e negli altri tessuti, favorendone l’eliminazione attraverso la minzione.
In alcuni casi, la malattia può essere trattata anche con l’uso dello zinco, che nell’intestino che riduce l’assorbimento dal rame dagli alimenti.
I sintomi neurologici oggi sono spesso trattati mediante la fisioterapia e le terapie del linguaggio.
Inoltre, è indicato anche il trapianto del fegato, quando la malattia conduce progressivamente a una grave disfunzione epatica.
L’alimentazione influisce sullo stato della malattia?
Sebbene spesso si pensi di no, l’alimentazione influisce sempre sul nostro organismo e, di conseguenza, anche sullo stato delle nostre patologie. Nei pazienti colpiti dalla malattia la dieta è importantissima: vanno evitati cibi ricchi di rame, come crostacei, cioccolato fondente, frutta secca.
Ma come si diagnostica la malattia di Wilson?
La diagnosi di questa malattia giunge spesso quando i sintomi sono molto evidenti, mentre invece sarebbe bene diagnosticarla in età pediatrica quando la sintomatologia è scarsa, se non assente.
Le indagini cliniche per diagnosticare la malattia sono varie: dalla biopsia epatica con ricerca del quantitativo del rame intraepatico, alla diagnosi molecolare sul cromosoma 13 del gene atp7b.
È sempre opportuno rivolgersi ad uno specialista per chiarimenti sulla patologia e, nel caso lo si ritenga opportuno, per dei controlli periodici.