Secondo uno studio riportato sulla rivista scientifica American Journal of Clinical Nutrition, i valori dell’indice glicemico (IG) mostrano una estrema variabilità tra un individuo e un altro, tale variabilità avrebbe portato gli studiosi a ritenere che i valori espressi dall’IG non siano efficaci nell’individuare la quantità di zuccheri presente nel sangue.
Cos’è l’indice glicemico?
L’indice glicemico (IG) è il valore, riferito ad alimenti che contengono carboidrati, che indica la velocità con cui la glicemia (la concentrazione di glucosio nel sangue) aumenta in seguito all’assunzione di questi cibi.
I suoi valori si esprimono su una scala da 0 a 100. Se il valore è inferiore a 55, l’alimento è a basso indice glicemico.
Fra i 56 e i 69, si collocano invece i cibi a medio indice glicemico, mentre alimenti con valori superiori a 70 sono considerati a elevato indice glicemico.
Alimenti con un alto indice glicemico (IG) sono quelli digeriti e assorbiti rapidamente e provocano un rapido innalzamento degli zuccheri nel sangue.
Cibi con basso IG, in virtù della loro lenta digeribilità e assorbimento, producono un graduale innalzamento degli zuccheri e dell’insulina nel sangue, creando diversi benefici per la salute.
Alimenti con basso IG migliorano i livelli di glucosio e di lipidi nelle persone affette da diabete di tipo 1 e tipo 2. Hanno, inoltre, dei benefici sul controllo del peso, in quanto aiutano a controllare l’appetito e a ritardare la fame e riducono i livelli di insulina e di insulino-resistenza.
L’indice glicemico è davvero affidabile?
L’indice glicemico (IG) di un cibo indica la velocità con la quale gli zuccheri presenti nel sangue si alzano, dopo che una persona mangia un determinato alimento. Ogni cibo viene classificato su una scala di valori, dove 100 rappresenta il valore più alto della scala.
Il carico glicemico, invece, permette di calcolare l’indice glicemico su una porzione di cibo. Diverse sono le sue applicazioni. L’indice glicemico è infatti utilizzato dai diabetici per controllare il livello degli zuccheri nel sangue; lo troviamo frequentemente sulle etichette degli alimenti, tra i valori nutrizionali, e persino diverse diete sono oggi basate sull’utilizzo dei valori IG dei cibi.
Il suo utilizzo è attualmente molto discusso, in quanto diversi studi dimostrano come la risposta individuale a un particolare cibo possa variare da soggetto a soggetto.
I ricercatori del Jean Mayer United States Department of Agriculture (USDA) Human Nutrition Research Center on Aging (HRNCA) della Tuft University hanno messo in discussione se l’IG sia o meno una misura valida, dopo aver randomizzato, controllato e ripetuto test su 63 adulti in salute.
I risultati per il pane bianco hanno mostrato una variabilità estrema
I volontari hanno partecipato a 6 sessioni di test per 12 settimane. Prima di ciascuna sessione ai partecipanti è stato chiesto di digiunare, evitare attività fisica e di assumere alcol.
Durante il test veniva dato loro del pane bianco o una bevanda con glucosio. Il pane era il cibo da testare, mentre la bevanda era usata come misura di controllo. Entrambi gli alimenti, ci dicono i ricercatori, contengono 50 gr di carboidrati ciascuno.
I livelli di glucosio nel sangue erano misurati diverse volte nell’arco di 5 ore e l’IG era calcolato usando metodi standard.
Da questo studio, è emerso che il valore medio del pane bianco era 62, ponendolo come un cibo medio nella classifica, ma la cosa più interessante è che i risultati variavano di ben 15 punti a seconda dei soggetti.
In 22 partecipanti la risposta dello zucchero nel sangue era bassa, in 23 media e in 18 era alta. Questo range di fatto mette il pane in tre categorie di IG diverse; oltretutto, la risposta di alcuni individui arriva a variazioni di 60 punti tra un test e l’altro.
Questo potrebbe in parte essere spiegato dal valore dell’insulina e dai livelli base di HbA1c.
In questo studio, i fattori mostrano una varianza compresa tra il 15 e il 16%. Questo suggerisce che la risposta metabolica individuale al cibo ha un impatto sui valori dell’IG.
I risultati ottenuti hanno indotto i ricercatori a mettere in discussione l’utilità dell’IG come predittore dell’impatto del cibo sui livelli di zuccheri nel sangue.
Può l’indice glicemico dirci quali cibi sono salutari?
L’autrice Nirupa Matthan fa notare che persone che consumano la stessa quantità dello stesso di cibo tre volte dovrebbero avere valori uguali di glucosio nel sangue a ogni misurazione, ma questo non accade.
Questa evidenza clinica la induce ad affermare che i valori di IG non sono utili a guidare le scelte alimentari. “Un alimento che ha un basso indice glicemico per una persona una volta, potrebbe avere un valore alto la volta successiva e magari non avere nessun impatto nel sangue per un’altra persona ancora”, aggiunge la Mattan.
“Secondo i risultati ottenuti, crediamo fermamente che l’IG non sia uno strumento adeguato e tale da essere inserito tra i valori nutrizionali sulle etichette degli alimenti o nelle linee guida sulla dieta, in quanto si tratta di un valore con un alto grado di variabilità personale. Pensate se il vostro medico ad esempio vi dicesse che il valore del vostro colesterolo ha una variabilità del 20%, questo avrebbe non poche implicazioni in quanto una varianza simile non permetterebbe di distinguere se si è a rischio normale o alto di malattie cardiache. E non credo che questo sia accettabile”, afferma ancora la Mattan.
La ricercatrice Alice H. Lichtenstein fa notare che spesso le persone sono incoraggiate a mangiare cibi con un basso valore di IG; lei invece suggerisce una dieta “principalmente composta da vegetali, frutta, farine di grano tenero, prodotti senza grassi o con basso contenuti di grassi, pesce, legumi, carne magra, utilizzare oli vegetali come condimento e cosa importante scegliere alimenti e bevande salutari”.
Mettere in discussione il ruolo dell’IG per la salute pubblica
Il gruppo di ricerca ha coinvolto un gran numero di partecipanti e svariate sessioni di test.
I ricercatori hanno inoltre considerato fattori biologici quali il sesso, l’indice di massa corporea, la pressione e l’attività fisica valutandone l’impatto sulla variabilità dell’IG, risultati che in molti casi non sono risultati significativi.
Gli autori sottolineano che i risultati da loro ottenuti non indicano che i cibi con un alto IG non sono salutari, i risultati piuttosto mostrano che l’utilità di queste misure per monitorare la salute delle persone potrebbe avere dei limiti, e pone gli esperti davanti alla necessità di rivalutare il collegamento tra l’IG e la predisposizione ad alcune malattie croniche.