Di seguito l’intervista a Laura Palillo, direttrice dell’associazione milanese attiva dal 1990 Handicap…su la testa!
Che tipo di associazione è e per iniziativa di chi nasce Handicap…su la testa! ?
Tutto nasce nel 1989 per iniziativa spontanea di un gruppo di giovani ragazzi milanesi che decidono di trascorrere alcuni pomeriggi alla settimana con ragazzi disabili intellettivi. Fra questi, Christian Minutoli cerca in particolare di dare a sua sorella Manuela e ai suoi amici un’occasione per incontrarsi liberamente in un gruppo aperto: si rivolge dunque al Consiglio della Zona 6 di Milano per richiedere uno spazio in cui aggregare tutti i ragazzi disabili che vogliano socializzare, come sua sorella, senza uno spazio per farlo fino a quel momento e l’idea proposta è molto semplice: tre pomeriggi alla settimana per stare insieme divertendosi. Nasce così il gruppo informale CRH (Centro Ricreativo Handicappati) nell’attuale sede dell’associazione, in Largo Balestra 1, zona Giambellino, quello spazio che all’epoca fu concesso dal comune. Negli anni il gruppo di volontari spontanei è cresciuto e ha dato vita all’associazione Handicap…su la testa! che si prefigge di fornire un luogo dove le persone con disabilità possano creare dei legami e trascorrere il loro tempo libero senza una guida educativa come priorità specifica ma con la semplice finalità di favorire i rapporti interpersonali.
Di quali disabilità vi occupate?
Di tutte le disabilità intellettive fra persone adulte in età compresa fra i 16 e i 70 anni
Quali difficoltà incontrano mediamente le famiglie di persone con disabilità in una città come Milano?
La disabilità mentale è poco conosciuta e quindi c’è una sorta di timore e prevenzione da parte della comunità che ghettizza il disabile e non favorisce il suo integrarsi nella società. Bisogna aggiungere che se la disabilità arriva a colpire anche la sfera motoria le barriere architettoniche rappresentano un’ulteriore forma di emarginazione. Le istituzioni investono poco sugli aspetti legati al divertimento per i disabili considerando come prioritari quelli legati alla sussistenza. Lo svago, la socializzazione sono considerati un lusso.
L’associazione Handicap…su la testa! è unica nel suo genere? Esiste in città qualcosa di analogo?
Si può dire che l’associazione sia unica sì, soprattutto per i numeri: a oggi sono più di 100 le famiglie che si rivolgono a noi e più di 170 i volontari che rendono possibili le attività dell’associazione. I volontari sono tutti ragazzi tra i 16 e i 25 anni.
Qual è il servizio che offrite che ha riscontrato maggiormente il favore delle famiglie che si rivolgono a voi?
Nel corso del tempo sono state le famiglie stesse a chiederci anche dei servizi educativi che includessero però l’attività ludica ed è nata la Scuola di Vita Autonoma: con la possibilità di seguire percorsi che vanno dalla durata di un fine settimana ai 3 mesi, i disabili possono creare un graduale distacco dal nucleo famigliare vivendo in un appartamento di proprietà dell’associazione seguiti durante la giornata da educatori professionisti e durante la notte dai soli volontari. Il diritto all’adultità è così garantito anche a persone considerate per definizione non autosufficienti nel rispetto delle loro esigenze di crescita che contemplino però anche lo svago. Il ruolo dei volontari è fondamentale e il percorso di crescita non riguarda soltanto il disabile ma anche i ragazzi, così giovani, appassionati e desiderosi di confrontarsi con l’altro.
Come si sostenta l’associazione?
L’associazione si finanzia grazie al contributo di privati e alla partecipazione a bandi principalmente al fine di mantenere delle quote associative basse che diano a tutti il diritto di poter accedere ai nostri servizi.
Handicap…su la testa! ha appena compiuto vent’anni: cosa vi augurate di realizzare nei vent’anni a seguire?
Vogliamo continuare a sviluppare progetti ampliando l’offerta di servizi per una domanda che è in continuo aumento. A partire dall’iniziativa della Scuola di Vita Autonoma, di cui siamo molto orgogliosi, stiamo pensando ad una comunità dove la vita di chi è disabile si possa integrare nel quotidiano con la vita di chi non o è.