Una delle questioni più spinose che un Stato deve affrontare (e così i suoi cittadini) è capire concretamente quale sia il giusto prezzo per un farmaco.
In quasi tutti i paesi è lo Stato, attraverso il Sistema Sanitario Nazionale, a rappresentare il primo acquirente per le varie case farmaceutiche: cosi avviene in Gran Bretagna, dove i prezzi sono fissati, cercando un giusto equilibrio tra la ricerca di profitto delle case farmaceutiche private e l’esigenza di rendere i medicinali alla portata di tutti.
Negli Stati Uniti il principale acquirente è un soggetto privato, le compagnie di assicurazione, ad affiancare le autorità statali nella ricerca del prezzo di equilibrio, ma qui i prezzi possono oscillare in maniera più libera, esattamente come un qualsiasi altro bene sul mercato.
E’ chiaro che le due principali esigenze da soddisfare sono:
- la possibilità di profitto per le case farmaceutiche (che in caso opposto non sarebbero incentivate a investire in ricerca);
- l’accessibilità ai farmaci per il maggior numero di utenti.
Chiaramente esistono farmaci di grande successo e usati su una vastissima scala, che rappresentano enormi guadagni per le case farmaceutiche (come per esempio il Viagra) e altri meno commerciali, perché costituiscono la cura per malattie più rare, come per esempio la toxoplasmosi.
Alcuni esempi
Recentemente, per esempio, la casa farmaceutica Turing ha aumentato di molto il prezzo del farmaco Daraprim, usato per evitare il rischio di morte conseguente a una infezione da Aids. Alle immediate polemiche e critiche piovute da numerose parti della comunità, l’azienda americana ha spiegato che la scelta, seppur impopolare, è stata dettata da logiche di business per cui non esiste incentivo alla ricerca, se non si cerca contemporaneamente un adeguato profitto. Con questa logica Martin Shkreli ha portato una compressa di Daraprim da un costo di 13,50 dollari a 750 dollari.
Le spiegazioni offerte dai vertici della società, tuttavia, non placano le polemiche di chi sostiene che l’aumento verticale del prezzo sia soltanto un veloce modo di arricchirsi a spese dei consumatori, per di più in stato di bisogno.
Anche Hilary Clinton, candidata democratica alle prossime elezioni americane, ha accusato la casa farmaceutica di ricercare il proprio profitto in maniera sleale, praticando un prezzo fuori da ogni logica di business con il solo scopo di speculare su malattie rare e sul bisogno dei pazienti.
Non solo, la Clinton ha promesso di intraprendere azioni legali contro la compagnia: il solo annuncio ne ha causato il crollo in borsa.
Al di là delle polemiche americane, un aspetto fondamentale andrebbe tutelato e cioè la ricerca a tutela della salute. Se colpire i profitti significa colpire la ricerca, la strada non può che essere sbagliata, ma speculazione e concorrenza sleale rischiano di portare allo stesso punto di stallo.