Un gruppo di ricercatori del BioRobotics Institute della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha creato la prima protesi magnetica che consente il controllo volontario dei movimenti delle singole dita.
Vediamo, nel dettaglio, di cosa si tratta
La protesi
La nuova creazione, una mano protesica controllata da magneti inseriti nella muscolatura residua dell’arto amputato, è stata sperimentata con risultati promettenti sul primo paziente – un ragazzo che nel 2022 ha subìto un’amputazione a livello dell’avambraccio.
I magneti, di dimensioni inferiori rispetto a quelle di una moneta da un centesimo, vengono inseriti in coppia all’interno dei muscoli e, quando questo si contrae, le due calamite si avvicinano muovendosi fisicamente nello spazio.
Sono, poi, stati inseriti sensori di campo magnetico in grado di localizzare la posizione assoluta dei magneti e il grado di contrazione del muscolo; l’informazione motoria viene, quindi, trasferita dai muscoli dell’avambraccio alla mano protesica attraverso un algoritmo.
Il paziente che ha partecipato come volontario allo studio, è stato selezionato poiché la sua amputazione è relativamente recente e i muscoli residui erano ancora piuttosto responsivi: “essendo il primo tentativo – spiega Christian Cipriani, direttore del BioRobotics Institute – era importante scegliere un soggetto in cui il ricordo dell’arto fosse vivido, per avere la certezza che potesse poi controllare la protesi. Non si tratta, però, di una condizione di esclusione: il ricordo dell’arto fantasma raramente svanisce. Tutti gli amputati hanno un po’ di memoria residua, e spesso è sufficiente riprendere a far muovere l’arto per risvegliarla”.
Grazie a questa nuova protesi, il paziente riesce a usare un coltello, versare l'acqua, prendere una moneta e aprire una cerniera. “Mi sembra di muovere la mia stessa mano – racconta – è un movimento istintivo che viene dall'interno del proprio braccio”.
In questo primo esperimento, è stato mappato il grado di contrazione dei muscoli dell’avambraccio da 0 a 100% (da chiusura ad apertura totale della mano); quindi, se il paziente contraeva il muscolo del 50%, le dita si chiudevano della percentuale corrispondente.
I vantaggi
Nelle protesi che sfruttano l’impianto di elettrodi, c’è il problema di come trasferire le informazioni di movimento dall’interno all’esterno del corpo. Questo può avvenire in due modi: attraverso un foro osteo-integrato (sistema che, però, non ha ancora raggiunto lo standard clinico in Italia) oppure tramite un trasferimento wireless basato sulle onde radio (ma richiede l’utilizzo di una batteria di notevoli dimensioni).
Nel caso di questa nuova protesi, i magneti permettono una comunicazione wireless fra i muscoli e il sistema (che non necessita di alimentazione).
La tecnologia basata sui magneti consente di aggirare entrambi i problemi sopra elencati e permette, almeno in teoria, l’inserimento di una coppia di magneti in ogni singolo muscolo residuo dell’arto amputato, garantendo il controllo di tutti i relativi gradi di movimento.
Le altre tecniche non ne sono in grado, a causa di un rumore di fondo (da cui sono intrinsecamente caratterizzate) che non permette di discernere il segnale derivante da un muscolo da quello del muscolo immediatamente adiacente.
Infine, anche se lo sviluppo del primo prototipo ha richiesto un certo investimento, secondo Cipriani in futuro i costi di questo tipo di protesi non dovrebbero risultare proibitivi: “Questa tecnologia è abbastanza semplice e il costo degli impianti potrebbe essere molto contenuto, probabilmente non sarebbe più alto di quello delle protesi disponibili attualmente”.
Ovviamente, prima che il prototipo si trasformi in un prodotto di comune uso clinico, sono necessari molti altri passaggi per ottimizzarne il funzionamento e la sicurezza.