La leucemia linfoblastica, terribile malattia che colpisce soprattutto i bambini, è una delle poche patologie per le quali il trattamento con cellule staminali è quasi la norma, data la gravità della patologia, e che ha permesso di raggiungere tassi di sopravvivenza molto alti per i più piccoli, tra l’80 ed il 90%, mentre restano ancora molto bassi quelli per gli adulti, intorno al 40%.
Purtroppo, anche il trapianto con le staminali non è sempre efficace e in caso di fallimento non c’erano, fino ad oggi, altre possibilità.
Per questo motivo è stata autorizzato un nuovo trattamento sperimentale che si basa sull’autotrapianto di cellule T, riprogrammate geneticamente.
Lo studio
Lo studio, condotto da ricercatori dell’Ospedale dei Bambini di Philadelphia e dell’Ospedale della University of Pennsylvania, è stato pubblicato sul The New England Journal of Medicine. Ha coinvolto 30 pazienti, 5 adulti e 25 bambini o giovani entro i 22 anni, per i quali il trapianto con le staminali si era rivelato inefficace. Tutti i pazienti avevano un’aspettativa di vita variabile dalle poche settimane a pochi giorni.
La leucemia linfoblastica acuta, infatti, è un tumore ematologico che colpisce i linfociti, un tipo di globuli bianchi presenti nel midollo e attivi nel sistema immunitario. I linfociti si distinguono in B o T in base al tipo di risposta immunitaria che possono attivare. I linfociti tumorali si riproducono molto velocemente ed entrano rapidamente in circolo, il termine acuta indica la progressione veloce della malattia, aggredendo i linfonodi, il sistema nervoso centrale, la milza, il fegato.
Nel 2011, studi condotti a Los Angeles hanno portato alla scoperta di una particolare proteina, chiamata CD19, che permette il riconoscimento dei linfociti B tumorali. Nella ricerca attuata a Philadelfia gli scienziati hanno utilizzato questa scoperta per sperimentare il nuovo trattamento.
In pratica, hanno estratto cellule T dai pazienti affetti da leucemia B e le hanno riprogrammate geneticamente in modo da trovare e distruggere la proteina CD19. Per riprogrammare geneticamente le cellule T è stata adoperata una tecnica molto sofisticata. In laboratorio le cellule T del paziente vengono private di parte del loro corredo genetico e, grazie all’uso di un virus attenuato utilizzato come vettore, fornite dei nuovi geni killer per la proteina CD19. Queste cellule sono programmate per moltiplicarsi e ciascuna di loro può colpire fino a 10.000 cellule B.
I risultati
Sei mesi dopo il trattamento, 23 dei pazienti erano ancora in vita e per 19 di loro è stata diagnosticata la remissione completa mentre, in 3 casi, la malattia si è ripresentata. Risultati più che positivi, pur in presenza di 7 decessi, che gli stessi ricercatori definiscono incoraggianti. I casi in cui la malattia si è ripresentata hanno dimostrato che, in quei pazienti, la proteina CD19 non era presente o non era individuabile, quindi le cellule killer non hanno potuto agire. Oltre a questo andranno affrontati gli effetti collaterali che il trattamento genera.
La terapia provoca, infatti, violenti attacchi febbrili e problemi respiratori dovuti al rilascio di citochine da parte delle cellule B e, inoltre, non è selettiva e le cellule T – killer, quando iniziano a riprodursi, agiscono su tutti i linfociti B, indebolendo il sistema immunitario. Entrambi questi effetti sono ritenuti comunque superabili e non costituiscono un ostacolo insormontabile.
Non ci sono ancora dati relativi all’effetto collaterale più temuto, l’eventuale comparsa di tumori.
Allo stato attuale, i ricercatori ritengono che il trattamento con le cellule T possa essere effettuato per i pazienti più a rischio morte e che, in caso di successo, questi pazienti si sottopongano nuovamente ad un trapianto di cellule staminali ma, allo stesso tempo, sperano che con i dovuti perfezionamenti la nuova terapia possa diventare lo standard per la cura delle leucemie.