Alcuni anni fa, ricercatori esperti in genetica avevano scoperto che determinati cambiamenti chimici del nostro DNA potevano essere utilizzati per stimare la nostra età e che questi risultati potevano essere diversi dalla nostra età cronologica. Più recentemente, è stato compiuto un ulteriore passo avanti, per certi versi anche abbastanza inquietante.
Ricercatori di alcune Università, in un lavoro di gruppo, hanno scoperto che la differenza tra la nostra età cronologica e l’età stimata biologicamente può essere usata come una sorte di “orologio biologico” per determinare, pur con qualche approssimazione, la durata della nostra vita.
Da alcuni studi è infatti emerso che, pur tenendo in considerazione anche i fattori ambientali e personali, se l’età geneticamente stimata di una persona è superiore a quella cronologica, sono maggiori le probabilità che la morte arrivi precocemente. In altre parole, sembrerebbe che la durata della vita sia determinata dallo stato del nostro DNA.
L’importanza del DNA
Le modifiche del DNA utilizzate dagli scienziati per arrivare a queste conclusioni sono di tipo epigenetico. Si tratta di modifiche che si traducono in alterazioni nell’espressione genica, anche di tipo ereditabile, ma che non inducono modifiche nella sequenza del DNA in sé, come invece avviene con una mutazione. Nel caso in questione, i ricercatori hanno osservato i processi di metilazione del DNA.
È noto che il grado di metilazione del DNA, cioè il legame di un gruppo metile con una base azotata, cambia con l’età e che i livelli possono essere influenzati da stile di vita, fattori ambientali e genetici. Il fumo di sigaretta e lo stress acuto, per esempio, hanno dimostrato di poter alterare la metilazione del DNA.
Studi precedenti avevano scoperto che la metilazione del DNA può essere utilizzata per stimare l’età di un individuo e che le differenze tra età stimata ed età cronologica effettiva possono essere associate all’aumento del rischio di malattie dell’età senile e alla mortalità. Tuttavia, nessuno studio aveva indagato se la metilazione del DNA fosse davvero legata alla durata della vita di un individuo.
Per questo, gruppi di scienziati dell’Università di Edimburgo in collaborazione con colleghi in Australia e negli Stati Uniti, sono partiti dall’analisi dei dati di quattro studi indipendenti che hanno monitorato la vita di circa 5.000 persone per un periodo di 14 anni. Per misurare la loro età in base alla metilazione del DNA, o età stimata, gli scienziati hanno cercato i marcatori nel sangue dei partecipanti mediante prelievi periodici per tutta la durata dello studio.
Come pubblicato sulla rivista Genome Biology, i ricercatori hanno scoperto che avere un’età stimata di cinque anni superiore a quella cronologica, porta ad aumento del 21% del rischio di mortalità, per qualunque causa e indipendentemente da sesso ed età. Questa stima migliora prendendo in considerazione anche una serie di altri fattori ambientali e di stile di vita, come l’istruzione, il fumo, il diabete, le malattie cardiovascolari e la classe sociale. In questo caso, l’aumento del rischio di mortalità si riduce al 16%.
Anche se lo studio suggerisce l’esistenza di un legame tra questa sorta di “orologio biologico” e la mortalità, ulteriori indagini saranno necessarie per chiarire quali fattori ambientali specifici abbiano influenza sull’età biologica di una persona.
“Questa nuova ricerca aumenta la nostra comprensione della longevità e come arrivare a ottenere un invecchiamento sano“, ha detto il professor Ian Deary, scienziato di riferimento in questi studi, in un comunicato stampa. “È eccitante come sia stato possibile identificare un nuovo marker per l’invecchiamento, che offre la possibilità di migliorare la durata e la qualità della nostra vita”.