Acconsente che l’intervento venga effettuato a distanza tramite il robot?
Il foglio del consenso informato che i pazienti devono leggere e firmare prima di un intervento chirurgico potrebbe, tra non molto, contenere anche questa domanda. I pazienti del dr. Mehvar Anvari, chirurgo dell’ospedale St Joseph di Hamilton, in Canada, lo hanno già sperimentato, visto che il dr. Anvari pratica interventi su pazienti distanti anche 400 km, grazie al suo robot Zeus.
Fantascienza o realtà? La seconda, a quanto pare
Il dr. Anvari, quando interviene, si siede alla sua console, collegata con i robot presenti in altre parti del Paese ed è in grado di tagliare, asportare, correggere, cucire, pazienti distanti molte centinaia di km, magari residenti in zone difficili da raggiungere o prive delle strutture e delle competenze presenti in ospedali avanzati.
In Italia, molti conoscono il Da Vinci, un robot utilizzato inizialmente per interventi alla prostata e oggi per molte altre casistiche chirurgiche, anche sulle valvole cardiache, usato però non a distanza, ma come strumento operatorio dall’eccezionale precisione. Almeno fino ad oggi, perché nulla ne vieterebbe l’impiego a distanza, a condizione che sia presente sia all’origine che alla destinazione.
L’idea della chirurgia a distanza non è così recente come si potrebbe pensare. Le prime richieste arrivarono dai militari americani dopo lo sbarco sulla luna. Si ipotizzava allora un’esplosione dei viaggi spaziali su astronavi che non potevano prevedere la presenza di centri medici e, poiché già molte operazioni di viaggio o interventi meccanici venivano eseguiti via radio dalla base terrestre, venne richiesto di prevedere la possibilità che anche eventuali interventi medici potessero avvenire da remoto. I viaggi spaziali, nonostante i numerosi tentativi anche privati, non sono ancora decollati, ma la chirurgia a distanza ha comunque preso piede prima in campo militare, per operazioni terrestri, poi nel settore civile.
La tecnologia più recente ha permesso di affrontare, con successo, i due principali problemi presentatisi agli sviluppatori di “robot chirurghi“. Il primo riguarda i tempi di risposta del braccio robotico dopo il comando impartito a distanza dal chirurgo in carne ed ossa. Il secondo riguarda le reazioni immediate del robot di fronte ad eventi imprevisti che, in sala operatoria, si presentano con molta frequenza.
Nel primo caso, i tempi di attesa si sono ridotti in modo del tutto accettabile, si parla di 175 millisecondi, ulteriormente riducibili grazie alle tecnologie avanzate oggi disponibili nel campo delle telecomunicazioni. Naturalmente a patto che la connessione sia assolutamente stabile anche perché, spiega il dr. Anvari, Zeus non è ancora dotato del “pilota automatico”.
Ed anche se sembra una battuta è proprio questo il secondo problema, ancora da risolvere. Oggi l’intervento a distanza coinvolge solo il chirurgo ed è possibile solo se al punto d’arrivo è installata una vera e propria sala operatoria con l’intera equipe, dagli anestesisti ai tecnici ai paramedici. Il dr. Anvari dialoga con loro e osserva tutte le fasi con la telecamera. L’equipe in loco interviene in caso di imprevisti o problemi che, durante un intervento, si possono verificare.
Nel prossimo futuro questi problemi potrebbero essere risolti grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale. Già oggi alcuni robot hanno la capacità di apprendere le esperienze che vivono. Molti utensili robotizzati, ad esempio, imparano a raccogliere gli oggetti che cadono o vanno fuori posto. Non nascono con questa capacità ma la apprendono, se guidati, alla prima occasione. La capacità di apprendere, sulla base delle casistiche che si presentano durante gli interventi chirurgici potrebbe permettere interventi a distanza in cui tutto ciò che non è di diretta competenza del chirurgo venga segnalato, affrontato e risolto dal robot. In questo senso, l’U.S. Army ha fissato come limite il 2025 per ottenere un robot teleguidato in grado di intervenire sui soldati in qualunque condizione d’utilizzo.
Secondo il pioniere dr. Anvari, i problemi tecnologici saranno superati presto e bene anche se non saranno queste le difficoltà principali per la diffusione della chirurgia a distanza o, più in generale, della telemedicina. All’orizzonte si prospettano infatti problemi di natura etica, legali a pratiche che sembrano di difficile soluzione.
La questione etica più importante e discutibile è se sia giusto per il paziente essere operato da un chirurgo che non l’ha mai conosciuto e visitato.
Dal punto di vista legale, poi, se qualcosa andasse male durante l’intervento, come si dimostrerebbe la responsabilità?
Infine, non si rischierebbe una potenzialmente enorme ondata di turismo medico, anche se virtuale? Viste le enormi differenze tecnologiche e legislative tra i diversi paesi, come fare a impedire l’avvento di organizzazioni puramente speculative, come avvenuto nel campo dell’odontoiatria, con strutture a distanza esterne al proprio paese? Quali regole, di quale paese, dovrebbero essere applicate se un paziente, poniamo italiano, fosse operato da un chirurgo che pratica, ad esempio, in Romania?
Questi e molti altri interrogativi si fanno sempre più concreti, assieme alla consapevolezza che un passo avanti di questo tipo potrebbe salvare centinaia di persone che non riuscirebbero altrimenti ad accedere alle cure mediche necessarie.