Lunghi e mossi. Lisci e scalati. A caschetto, con la frangia o la riga a zig-zag. C’è chi li lega in uno chignon, effetto bon-ton, e chi ci gioca continuamente sperando nell’ effetto seduzione: i capelli sono uno dei maggiori tratti distintivi, e di fascino, in una donna.
Gli uomini possono mantenere intatto il loro fascino anche da brizzolati, o calvi, ma cosa accade quando, anche se in misura meno frequente, è la chioma femminile ad essere colpita?
Oltre ai fattori di stress e all’ obesità, spesso il disturbo si presenta in concomitanza della maternità (carenza di ferro legata all’allattamento) e della menopausa (meno estrogeni, più ormoni maschili e quindi meno capelli e più irsutismo facciale), ma ci sono anche veri e propri casi di alopecia androgenetica femminile, che arriva a colpire anche durante la pubertà, se associata a diete drastiche.
Per diagnosticarla, vanno esclusi tre fattori fondamentali che concorrono alla calvizie: l’anemia, le disfunzioni tiroidee e farmaci quali la pillola anticoncezionale, i beta-bloccanti, gli antidepressivi, gli anticoagulanti, oltreché le sedute di chemioterapia.
La calvizie femminile è stata classificata nel 1977 da Ludwig, il quale ha riconosciuto tre stadi di gravità crescente: lieve, moderato e grave.
Il primo prevede un diradamento percettibile dei capelli sulla corona, arretrati di 1-3 cm dalla linea frontale. Il livello moderato vede una rarefazione pronunciata sulla corona, mentre l’ultimo, molto raro da riscontrare, consta di un diradamento che parte dalla linea frontale fino ad interessare tutta la corona.
Se il disturbo è causato da uno scompenso ormonale, la cura più efficace è la pillola anticoncezionale con estroprogestinici, altrimenti si procederà con integratori alimentari e stimolazioni laser. Per i casi più gravi, al giorno d’oggi esistono terapie chirurgiche di trapianto e autotrapianto che rinfoltiscono il cuoio capelluto con microinnesti talmente sofisticati da non far percepire l’intervento.