Le capacità respiratorie nei pazienti colpiti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) potrebbero notevolmente migliorare. Tradotto, significa addio a dispnea, tosse cronica, polmoni che si appesantiscono e che, in casi estremi, possono portare anche alla morte.
Per la prima volta, proprio in Italia, è stata infatti utilizzata una tecnica basata sul vapore che migliora la qualità della vita di coloro che soffrono di una questa patologia che causa l’enfisema polmonare e che rappresenta la quarta causa di morte in Europa e negli Stati Uniti.
L’innovativo intervento è stato eseguito con successo lo scorso 27 novembre presso l’Ospedale di Torrette di Ancona. I risultati, invece, sono stati presentati giovedì 11 gennaio in una conferenza stampa, alla presenza del direttore dell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona Michele Caporossi e di Stefano Gasparini, direttore del reparto di Pneumologia.
Dunque, non ci resta che capire insieme come si cura la BPCO con questa nuova tecnica.
Una nuova cura per la BPCO?
La nuova cura per la BPCO presenta un nome alquanto altisonante. È infatti chiamata «Riduzione volumetrica con ablazione termica endobronchiale mediante applicazione di vapore acqueo ad alta temperatura».
Il prof. Gasparini ha però preferito battezzare questa tecnica rivoluzionaria come una «scoperta dell’acqua calda». L’intervento – da qui il simpatico nome – si base infatti sull’applicazione attraverso un sondino nasale del vapore acqueo a 75-80° centigradi direttamente sul tessuto polmonare dei pazienti affetti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva.
Secondo i medici, infatti, a queste temperature è possibile portare a una cicatrizzazione le aree polmonari danneggiate dall’enfisema. Ciò provocherebbe un restringimento volumetrico del 25% dell’enfisema stesso, permettendo al paziente una migliore respirazione.
Ovviamente, è sempre bene frenare gli entusiasmi. La tecnica mini-invasiva – come sostenuto dagli esperti – non guarisce completamente la BCPO, ma di certo migliora sensibilmente la qualità della vita del paziente. Soprattutto, permette di evitare l’intervento chirurgico e altre terapie maggiormente invasive.
Il primo paziente sta bene
Il primo paziente trattato in Italia – e qui la buona notizia! – sta molto bene e ha risposto perfettamente all’intervento. Si tratta di un 68enne fumatore, il primo di una potenziale lista d’attesa di circa 40-50 pazienti.
E non è un caso che il paziente sia un fumatore: è proprio questa categoria la più esposta a soffrire di Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva. Sono infatti numerosissimi gli studi che indicano che il principale fattore di rischio per lo sviluppo della BPCO sia proprio il fumo di tabacco, che accelera e accentua il decadimento naturale della funzione respiratoria.
Attenzione anche al fumo passivo, che può contribuire parzialmente allo sviluppo della malattia, favorendo appunto l’inalazione di gas e particolato. Gioca un ruolo determinante anche l’esposizione a polveri, sostanze chimiche, vapori o fumi irritanti all’interno dell’ambiente di lavoro, così come l’inquinamento atmosferico e quello dell’aria presente in ambienti chiusi e provocato dalle emissioni di stufe, di apparecchi elettronici o, ancora, da strumenti per l’aria condizionata.
Esistono però anche fattori individuali, ovvero geni associati all’insorgenza della BPCO. Al momento, si è praticamente certi che il deficit di alfa1-antitripsina potrebbe portare allo sviluppo della malattia, essendo questa proteina fondamentale per la protezione dei polmoni. Infine, è bene ricordare che infezioni respiratorie come bronchiti, polmoniti e pleuriti possono predisporre al deterioramento dei bronchi stessi.
Intanto, in attesa del secondo intervento pilota, è bene ricordare sempre le parole del direttore generale dell’azienda ‘Ospedali Riuniti’, il dr. Michele Caporossi, perché «quando la natura è al servizio della scienza con un sistema così semplice si può fare molto».