Le aritmie cardiache sono disturbi del normale battito (ritmo) del cuore. Possono comparire a qualsiasi età. Sia in persone che non soffrono di alcuna patologia – specie tra i giovani e definite idiopatiche (cioè senza causa apparente) – o in soggetti già affetti da malattie cardiovascolari importanti e quindi secondarie a infarto, valvulopatie (alterazioni della funzionalità valvolare), ischemia delle arterie coronarie (restringimento od occlusione dei vasi, che portano sangue e ossigeno al muscolo cardiaco).
Chi è lo specialista che si occupa di aritmie?
Lo studio, la diagnosi e la cura delle aritmie – difetti elettrici nel sistema di conduzione del cuore (paragonabile alla batteria delle auto) – sono i campi d’intervento del medico elettrofisiologo (aritmologo), quale specializzazione della Cardiologia interventistica.
Come si diagnosticano le aritmie cardiache?
La medicina moderna dispone oggi di molte metodiche d’indagine – in continua evoluzione e in affiancamento a procedure non chirurgiche – per una corretta identificazione e cura delle aritmie. Alcune in dettaglio:
- Elettrocardiogramma (ECG): è la registrazione e riproduzione, tramite tracciato grafico, dell’attività elettrica del cuore.
- ECG dinamico (Holter): consente di monitorare il battito cardiaco durante un intervallo di tempo ben definito. In genere, tra le 24 e le 48 ore. Gli holter di ultima generazione consentono la registrazione cardiaca fino ad un massimo di 7 giorni.
- ECG da sforzo (test ergometrico): prevede l’esecuzione dell’elettrocardiogramma nel corso di uno sforzo fisico prolungato. Esamina la risposta dell’apparato cardiocircolatorio registrando frequenza dei battiti, valori della pressione arteriosa, modificazioni del tracciato.
- Ecocardiogramma: valuta la funzione e l’integrità delle valvole cardiache anche in rapporto alle dimensioni degli atri e dei ventricoli.
- Risonanza Magnetica: permette un’accuratezza diagnostica elevata nelle miocarditi e cardiomiopatie (ipertrofica o aritmogena del ventricolo destro).
- Studio elettrofisiologico: è l’analisi del battito cardiaco dall’interno del cuore mediante l’impiego di un dispositivo (catetere) inserito, in modo indolore per il paziente, tramite una o più vene periferiche. Si esegue in anestesia generale.
La fibrillazione atriale: un’aritmia insidiosa
La fibrillazione atriale è l’aritmia cardiaca più frequente. Colpisce circa l’1% della popolazione generale e la sua crescita percentuale segue il progressivo invecchiamento delle persone.
È comune in chi ha un’anomalia funzionale della ghiandola tiroide; in coloro che soffrono di diabete e ipertensione arteriosa; in pazienti con alcune malattie polmonari e in soggetti con apnee ostruttive del sonno.
Pur non costituendo di per sé un rischio diretto ed immediato di morte, l’irregolarità del battito e quindi la riduzione di capacità da parte del cuore di pompare sangue, aumenta il rischio di formazione di coaguli all’interno degli atri e dunque di ictus cerebrale.
Come si cura la fibrillazione atriale?
La cura della fibrillazione atriale prevede:
- Farmaci: riducono il rischio che nel sangue si formino coaguli e quindi le probabilità di ictus cerebrale. In chi soffre d’ipertensione, diabete o ha avuto precedenti cardiovascolari vanno assunti per tutta la vita.
- Cardioversione elettrica: si trasmettono scosse elettriche al cuore attraverso elettrodi posizionati sul petto; è utile a ripristinare il normale battito cardiaco.
- Impianto di pacemaker.
- Ablazione transcatere: alcune forme di fibrillazione atriale nascono da imput elettrici sbagliati originanti nelle vene polmonari. L’area da cui provengono gli impulsi difettosi viene “bloccata” tramite l’utilizzo di fonti d’energia a caldo estremo o freddo estremo (Crioablazione) somministrate con speciali cateteri inseriti nel cuore partendo dalle vene degli arti inferiori.
- Ablazione chirurgica nei casi di contemporaneo intervento a cuore aperto, “eliminando” negli atri le vie di propagazione dei segnali elettrici patologici (Operazione labirinto).