Come indica il nome, gli ansiolitici sono una classe di farmaci utilizzati per combattere e ridurre l’ansia.
L’ansia è uno stato di paure e tensioni, che oggi è un fenomeno considerato quasi “fisiologico” nel mondo occidentale. Clinicamente, l’ansia è definita come una tensione psico-fisica che, il più delle volte, affonda le proprie radici nell’irrazionale. Talvolta, però, ha una base psicologica definita e individuabile ed è sintomo di disagi più gravi, dalla depressione alla schizofrenia o l’anoressia.
Gli ansiolitici sono psicofarmaci utilizzati da tempo per combattere gli stati di agitazione ansiosa. Quelli a base di BDZ, benzodiazepine, hanno preso il posto dei barbiturici, la cui overdose porta al blocco delle funzioni respiratorie e alla conseguente morte.
Funzionalmente, le benzodiazepine agiscono sul neurotrasmettitore acido gamma-aminobutirrico (GABA), accrescendo le sue proprietà sedative, anestetiche e miorilassanti. Queste caratteristiche le rendono utili nei trattamenti di breve durata per stati gravi di agitazione, insonnia e disturbo bipolare, mentre sono controindicate nei trattamenti di lunga durata, perché il loro effetto diminuisce e creano dipendenza.
Inoltre, non va dimenticato che, pur essendo prive della tossicità letale dei barbiturici, possono diventare altrettanto letali se assunte in sovradosaggio e in combinazione con elevate quantità di alcool.
Un uso razionale dei farmaci per la cura dell’ansia
Le benzodiazepine, capostipite il Librium, nome commerciale Valium, sono oggi considerati gli ansiolitici più sicuri e, per questo, i più utilizzati.
Nei diversi derivati che si trovano in commercio non ci sono grandi differenze di composizione chimica, se non per la presenza o meno di metaboliti farmacologicamente attivi e per l’emivita plasmatica. Quest’ultimo parametro è molto importante ai fini dell’utilizzo terapeutico.
Il tempo di emivita è il parametro che indica il tempo medio necessario a osservare la riduzione del 50% delle concentrazioni di un farmaco nel sangue. È, quindi, l’indice della permanenza in circolo del farmaco e, almeno in linea teorica, della durata del suo effetto [1].
Ciò detto, tutte le benzodiazepine sono ugualmente efficaci nel trattamento a breve termine di queste psicosi e insonnia, e la loro classificazione in “ansiolitici” e “ipnotici” non appare, clinicamente, giustificata. Relativamente alle altre indicazioni per l’uso di benzodiazepine, va detto che non hanno effetti antidepressivi o analgesici.
Alcune benzodiazepine, in particolare quelle con cicli di emivita lunghi, che vengono comunemente usati come ipnotici, hanno una durata d’azione prolungata e possono provocare stati di forte spossatezza o, con termine anglosassone ormai entrato nell’uso comune, l’effetto ‘hang-over’. L’alcol aumenta gli effetti di questi farmaci, e quindi ne aumenta gli effetti. L’uso delle benzodiezepine con i pazienti anziani deve essere valutato con molta attenzione perché gli effetti collaterali, come sedazione, tremore, atassia e stato confusionale sono molto più frequenti.
Da quando le benzodiazepine sono state commercializzate, il loro uso è aumentato rapidamente e si stima che tra il 12 e il 16% della popolazione adulta nei Paesi sviluppati utilizzi questi farmaci. Negli ultimi anni, tuttavia, si è stimata una piccola riduzione del loro uso nonostante non siano diminuite le prescrizioni. Si ritiene, quindi, che la diminuzione non sia attribuibile a un uso più consapevole ma, purtroppo, al diffondersi di forme di dipendenza.
Fino a non molto tempo fa i rapporti che indicavano questo tipo di dipendenza erano relativamente pochi. Oggi la dipendenza è stata accertata e accettata. I sintomi di astinenza sono stati dimostrati in un numero elevato di pazienti che hanno subito somministrazioni a lungo termine di benzodiazepine. La sindrome di astinenza di solito dura da 8 a 10 giorni ed è caratterizzata da insonnia, ansia, perdita di appetito, tremori, sudorazione e disturbi percettivi.
Ad oggi, comunque, l’incidenza complessiva di questo fenomeno rimane sconosciuta.
Ansiolitici: effetti collaterali e rischi
Anche se gli effetti collaterali delle benzodiazepine sono classificati come lievi e indotti soprattutto da trattamenti prolungati, alcuni di questi non sono da sottovalutare [2]. Oltre alla dipendenza, di cui si è già parlato, gli ansiolitici a base di benzodiazepine hanno altri effetti collaterali, quali:
- Perdita di memoria: l’assunzione orale di benzodiazepine può causare un deterioramento della memoria. Diventa carente l’acquisizione di nuove informazioni per il deficit di concentrazione e attenzione indotto dal farmaco. Inoltre, questi farmaci provocano un deficit nella memoria “episodica”, cioè nel ricordo degli avvenimenti recenti, delle circostanze in cui essi si sono verificati e della sequenza in cui sono accaduti. Al contrario non vengono danneggiate altre funzioni, come la memoria per le parole e il richiamo di ricordi nel passato remoto.
- Effetti stimolanti paradossali: le benzodiazepine provocano, in alcuni pazienti, un eccitamento paradossale con incremento di ansia, insonnia, incubi e allucinazioni nella fase iniziale del sonno, irritabilità e comportamento iperattivo o aggressivo, attacchi di panico. Si ritiene che questi effetti siano dovuti all’azione delle BDZ sui normali freni inibitori.
- Anestesia emotiva: è l’ incapacità di provare sia sentimenti di piacere che di tristezza. E’ un sintomo comune lamentato da coloro che fanno uso prolungato di benzodiazepine. Probabilmente è causato dall’effetto inibitorio che hanno le benzodiazepine sui processi che si svolgono nei centri dell’emotività del cervello.
Alcol e ansiolitici: un mix da evitare
L’effetto più preoccupante del mix tra alcool ed assunzione di benzodiazepine è il coma, possibile in caso di overdose.
Non sarebbe un problema particolarmente grave se non fosse che i soggetti dipendenti da alcool e oppioidi sono quelli a più alto rischio di abuso e dipendenza da benzodiazepine. Spesso i pazienti in cura disintossicante per l’alcool o che seguono una terapia di metadone, iniziano ad abusare di benzodiazepine.
Se assunte in associazione con alcol e oppiacei, le benzodiazepine ne raddoppiano gli effetti e questo, nei soggetti che ne fanno un uso abituale, porta facilmente ad aumentare il rischio di overdose e, come conseguenza, il mix può rivelarsi letale [3].
Ansiolitici e gravidanza: quando è meglio evitare
Le benzodiazepine attraversano la barriera della placenta e, se vengono assunte dalla futura madre durante l’ultima parte della gravidanza, anche in dosi terapeutiche, possono causare complicazioni nel neonato. Il feto e il neonato metabolizzano le benzodiazepine molto lentamente e concentrazioni apprezzabili possono permanere nel neonato fino a 2 settimane dopo la nascita. Questo porta alla “floppy infant syndrome” con mancanza di tono muscolare, eccessiva sedazione e incapacità di succhiare.
I sintomi conseguenti alla sospensione del farmaco insorgono dopo circa due settimane e si manifestano con uno stato di iper-eccitabilità, pianto stridulo e incapacità a nutrirsi. Sembra che le benzodiazepine, anche somministrate in dosi terapeutiche, pongano un rischio modesto di malformazioni congenite. Tuttavia, l’uso continuativo di questi farmaci durante la gravidanza, può interferire con lo sviluppo fetale e ritardare lo sviluppo cerebrale.
C’è, inoltre, la sempre più diffusa convinzione verso la probabilità che questi bambini possano sviluppare il disturbo di deficit di attenzione oltre a disturbi di tipo autistico [4].
Il rischio di Alzheimer legato a farmaci contro l’ansia
Assumere per lungo tempo BDZ potrebbe aumentare il rischio di sviluppare la demenza di Alzheimer. Almeno, stando ai risultati di uno studio di un gruppo di ricercatori franco-canadesi, e relativo a una ricerca realizzata nel Quebec su circa 9mila persone di età superiore ai 66 anni.
La ricerca, pubblicata sul British Medical Journal, ha verificato quante benzodiazepine hanno assunto in passato persone che avevano già sviluppato l’Alzheimer, confrontando poi tale livello con quello di persone, con pari requisiti anagrafici e socio demografici, che non avevano assunto questi farmaci o li avevano assunti in maniera occasionale.
La ricerca sembra dimostrare che l’aumento di rischio è correlato all’assunzione regolare delle benzodiazepine per almeno 90 giorni, e il rischio aumenta ulteriormente se l’assunzione è stata più prolungata o in caso siano stati impiegati prodotti a lungo ciclo di emivita, come il Diazepam e il Flurazepam. Fino ad oggi si riteneva che le BDZ avessero effetti sulle persone anziane, esponendole a possibili stati confusionali e riduzione delle abilità cognitive, questo nuovo studio sembra indicare il rischio di un danno cognitivo permanente.
Entrando nel dettaglio, lo studio dimostra che il rischio di sviluppare l’Alzheimer è del 50% maggiore. Riespetto all’incidenza della patologia questo aumento potrebbe non essere particolarmente significativo, ma data la grande diffusione di questi psicofarmaci, il cui consumo a livello globale è secondo solo agli anti-infiammatori, l’impatto diventa molto significativo [5].
Farmaci o psicoterapia?
Quando ci si trova di fronte ad un problema legato all’ansia o alla depressione, le scelte terapeutiche sono essenzialmente:
- Terapia farmacologica
- Terapia psicologica
- Terapia integrata
La terapia farmacologica è, tra tutte, la più scelta ma, salvo alcuni casi, la meno efficace.
Nonostante il battage delle multinazionali dei farmaci, che finanziano tutti gli studi sull’efficacia dei loro prodotti, sempre più ricerche indicano che gli psicofarmaci non hanno grande utilità e il loro effetto è, soprattutto, un effetto placebo.
Secondo molti studi, registrati dalla FDA americana, si può affermare che l’effetto placebo (e cioè l’autosuggestione) è responsabile della maggior parte degli effetti positivi degli antidepressivi, mentre il loro effetto reale diventa significativo solo nei casi di depressione grave, come concluso da una meta-analisi pubblicata su JAMA – Journal of American Medical Association. Nei casi non gravi, l’effetto del farmaco si discosterebbe solo minimamente dall’effetto ottenuto somministrando un placebo, cioè una sostanza priva di attività farmacologica.
La psicoterapia, secondo molti studi che hanno comparato l’efficacia degli antidepressivi all’efficacia della psicoterapia, ha effetti positivi nettamente superiori ai farmaci, e con la terapia integrata la percentuale di successo si è dimostrata ancora superiore, arrivando al 64%.
Perché, quindi, si assiste a un continuo aumento del consumo di questi farmaci?
Le motivazioni sono diverse, a partire dall’abitudine, tipica dei paesi occidentali, di utilizzare il mezzo più semplice e ritenuto più veloce per guarire, tipicamente il farmaco, che assumiamo in qualunque circostanza.
Va però aggiunto che in molti casi non ci si trova davanti a una scelta ma, quella chimica, diventa l’unica opzione possibile. Le terapie farmacologiche non sono infatti possibili con il SSN e sono a totale carico del paziente, quindi utilizzabili solo da chi è economicamente in grado di sostenerle [6].
Ansiolitici naturali: quali sono?
Ultima, ma non meno importante considerazione è quella sugli ansiolitici naturali o omeopatici.
Esistono, infatti, delle soluzioni altrettanto valide, che possono essere testate prima di passare a terapie farmacologiche vere e proprie. Tra queste:
- Passiflora: si utilizzano, in particolare, i fiori e le foglie della pianta, dal potere rilassante e sedativo. Ottimi sono gli infusi; il consiglio è di non superare le 2 tazze al giorno.
- Tiglio e camomilla: entrambe le piante hanno effetti rilassanti. L’estratto essiccato è ottimo per le tisane, da assumere prima di andare a dormire. Il consiglio è di non eccedere!
- Valeriana: se si soffre di insonnia o di lievi ansie è un’ottima soluzione. Si trova soprattutto sotto forma d’estratto essiccato per preparare una tisana. Mai associarla con alcol e farmaci… chiedete sempre al medico!
- Iperico: ha un’azione sedativa, ma anche antidepressiva. Agisce, infatti, sul sistema nervoso centrale, favorendo il naturale aumento della melatonina, indispensabile per un buon sonno.
- Biancospino: è un buon calmante. Rallenta il battito cardiaco, in caso di ansia e panico. Per i dosaggi è bene consultare un esperto omeopata.
Fonti
[1] Rational use of anxiolytic/sedative drugs http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/6134609
[2] Managing Side Effects of Anxiolytics http://primarypsychiatry.com/managing-side-effects-of-anxiolytics/
[3] Alcohol, anxiolytics and social stress in rats http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8539338
[4] ACOG Guidelines on Psychiatric Medication Use During Pregnancy and Lactation http://www.aafp.org/afp/2008/0915/p772.html
[5] Il rischio Alzheimer aumenta se si prendono troppi ansiolitici http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/14_settembre_29/rischio-alzheimer-aumenta-se-si-prendono-troppi-ansiolitici-0c3f3316-47d4-11e4-85be-0ddddac1a56f.shtml
[6] Psychotherapy http://www.mayoclinic.org/tests-procedures/psychotherapy/basics/definition/prc-20013335