Scoperte anomalie cerebrali nei pazienti con sindrome da stanchezza cronica

Vincenzo Russo | Blogger

Ultimo aggiornamento – 05 Dicembre, 2014

Conosciuta con la sigla americana CFS – Chronic Fatigue Syndrome – o, secondo la classificazione britannica, come encefalomielite mialgica (ME), questa patologia colpisce soprattutto i giovani e le donne tra i 35 e i 40 anni, mentre non si presenta in età pediatrica e negli anziani, ed è diffusa, con incidenza simile, in tutte le regioni geografiche.

La sindrome da stanchezza cronica

E’ una sindrome che presenta un quadro sintomatologico importante caratterizzato da stanchezza grave accompagnata da sonno non ristoratore e difficoltà di memoria e di concentrazione. Sono presenti anche sintomi correlati, quali dolori muscolari, febbre, ingrossamento dei linfonodi, cefalee. Per essere classificata come CFS deve durare almeno 6 mesi e non risolversi con il riposo, nemmeno prolungato. L’ampio quadro sintomatologico e l’eziologia sconosciuta rendono difficoltosa la diagnosi e la somministrazione di un’adeguata terapia. Il trattamento farmacologico prevede la somministrazione di antidepressivi e fans ed è spesso associato a un supporto di tipo cognitivo comportamentale.

Le cause sono ancora sconosciute e, ad oggi, gli studi si orientano in ambito infettivologico, immunologico, neurologico e tossicologico.

Lo studio

Un nuovo studio, reso possibile dall’utilizzo delle tecnologie di imaging in ambito radiologico, sembra aver identificato delle anomalie presenti nel cervello dei soggetti malati, aprendo così nuove strade verso l’identificazione dell’origine della malattia.

Il trial, in origine previsto per trovare nuovi trattamenti terapeutici, ha coinvolto 200 pazienti e i ricercatori hanno trovato tre punti critici nei i cervelli dei pazienti di CFS che non erano presenti nei pazienti sani, utilizzati come gruppo di confronto. È interessante notare che l’intensità delle criticità individuate a livello cerebrale appariva correlata con l’intensità della condizione patologica.

Le immagini rilevate alla risonanza hanno mostrato che, rispetto agli individui sani, le persone con CFS hanno una quantità minore di materia bianca nel cervello. La materia bianca è costituita da fibre nervose che aiutano a collegare i neuroni nella materia grigia. La materia grigia, questo è più noto, elabora le informazioni. Si è ipotizzato che la diminuzione della materia bianca sia dovuta a fattori infettivi.
Il team ha anche verificato che la materia bianca nell’emisfero destro del cervello appare anormale nella regione del cervello che collega lobo frontale e lobo temporale. Il lobo frontale ha una vasta gamma di funzioni, tra cui quella di regolare il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore indispensabile per attività come l’attenzione e la motivazione. Il lobo temporale è responsabile dell’elaborazione delle informazioni sensoriali, la memorizzazione di ricordi e il controllo delle emozioni.

Oltre a fornire il potenziale biomarcatore diagnostico CFS-specifico che stiamo disperatamente cercando da decenni, questi risultati promettono di identificare la zona o le zone del cervello in cui la malattia ha dirottato il sistema nervoso centrale“, ha spiegato il responsabile della ricerca, il dr. Montoya, che comunque prevede ancora tempi lunghi per arrivare a un risultato certo e ottenere un trattamento efficace per sconfiggere la CFS.

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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